La giornata di oggi del Calendario del Cibo Italiano è dedicata al pesce in carpione, un antico metodo di conservazione di cui ci parlerà Alessia Massari del blog My Iummy nel suo post ufficiale. Io ho preparato per l’occasione le Acciughe in Scapece alla Lucana, e mi sono divertita a scoprire come la preparazione del pesce in carpione sia straordinariamente diffusa in tutta Italia (e non solo!), pur cambiando nome a seconda della regione in cui ci troviamo.
Il carpione è un pesce d’acqua dolce molto pregiato, che fin dai tempi antichi viene fritto e conservato in aceto aromatizzato con spezie ed erbe. Da qui il termine “carpione”, prettamente lombardo, è diventato di uso comune per descrivere proprio questo procedimento di conservazione degli alimenti sotto aceto, che si adatta non solo ai pesci d’acqua dolce ma anche a quelli di mare, così come alle carni e alle verdure. Sinonimi di carpione sono saor, scapece, scabeccio, scabeggiu ed escabeche: terra che vai nome che trovi, a testimonianza di quanto sia apprezzata questa tecnica, nella quale l’aceto utilizzato per far macerare il cibo conferisce agli alimenti un gusto acre e pungente. Ma sono proprio tutte uguali?
Partiamo con lo scapece, diffusissimo al Sud, soprattutto in Puglia e in Abruzzo. La parola “scapece” deriva dallo spagnolo “escabeche”, termine che a sua volta proviene dall’arabo-persiano “sikb-bâdj”, un piatto tipico della Persia giunto in Spagna con la dominazione musulmana la cui pronuncia suonava come “iskebech”. Diverse sono le ipotesi fatte dagli studiosi circa l’origine del nome di questa antica ricetta araba: alcuni sostengono che il termine derivi dal latino “escha apicii”, ossia “salsa di Apicio”, il gastronomo romano dell’età augustea che, si dice, ha preparato per primo questa pietanza inserendola nella sua opera “De re coquinaria”. L’ipotesi più verosimile, però, è quella che vede provenire tale nome dall’arabo arcaico “sikbag”, che significa “pesce marinato”. Gli stessi arabi, poi, hanno fatto conoscere questo metodo di conservazione del pescato agli abitanti delle terre del Sud Italia da loro dominate, i quali hanno fatto propria questa preparazione per sopravvivere ai lunghi periodi passati dentro le mura delle città fortificate, al riparo dalle incursioni e dai saccheggiamenti. Lo scapece, infatti, ha il pregio di permettere al cibo di conservarsi per lungo tempo. In scapece, di solito, si conserva principalmente pesce azzurro; la versione dello scapece tipica di Gallipoli prevede una marinata sempre a base di aceto ma impreziosita da zafferano, che gli conferisce il caratteristico colore dorato.
Lo “scabeccio” è la versione ligure dello scapece. Qui, di solito, si prediligono le boghe, pesce azzurro di scarso valore commerciale perché provvisto di numerose lische, ma prelibato se cucinato in carpione e servito come antipasto. Lo scabeccio ligure prevede che i pesci, una volta fritti e raffreddati, siano coperti da una marinata a base di aceto e vino bianco preparata a partire da cipolla soffritta ed insaporita con aglio, salvia, alloro e grani di pepe. Lo stesso condimento, aromatizzato con erbe e spezie lievemente diverse, prende il nome di “scabecciu” nelle zone meridionali della Sardegna.
Il veneto “saor” ha invece una storia diversa ed è figlio delle origini marinare di Venezia. La ricetta, che prevede principalmente sardine, risale al Trecento e fu inventata dai pescatori, che passavano molti mesi in mare e che avevano perciò bisogno di conservare a lungo il pesce: non a caso, il saor veniva chiamato “cibo di marinai e scorta di terraferma”. Il saor veneto prevede, nella marinata a base di aceto, anche la presenza di cipolle, che crescono abbondanti negli orti della laguna, e l’uvetta e i pinoli, che sottolineano i legami forti che la Serenissima aveva con il mondo orientale.
Carpione in Lombardia, scapece nel Sud Italia, saor a Venezia, scabeccio in Liguria, scabecciu in Sardegna, escabeche in Spagna. Tante parole per raccontare l’idea di sposare il pesce o le verdure con l’aceto, per renderlo più gustoso ma soprattutto per conservarlo più a lungo e per renderlo più digeribile. I pesci che più di tutti si prestano a questo tipo di conservazione, oltre ovviamente ai pesci d’acqua dolce, sono le sarde, gli sfogieti (le sogliole piccole), i passarini di laguna, le acciughe, le triglie, le boghe ed i latterini.
In Basilicata, questa preparazione è nota semplicemente con il nome di “acciughe alla lucana”: si tratta di alici fritte e fatte macerare in una marinata preparata con aceto, aglio, peperoncino e menta. La menta conferisce alla pietanza un sapore fresco, che si sposa divinamente con quello aspro e pungente dell’aceto, con il piccante del peperoncino e con il sapido delle acciughe.
- 800 g di acciughe freschissime
- 80 g di farina
- 500 ml di aceto di vino bianco
- 250 ml di acqua
- 3 spicchi di aglio
- 1 peperoncino essiccato
- 10 foglie di menta
- olio extravergine di oliva
- sale
- Pulite le acciughe eliminando la testa e la lisca; apritele a libro con delicatezza facendo in modo che restino unite per la coda, sciacquatele sotto l’acqua corrente ed asciugatele bene con carta assorbente.
- In un tegame capiente scaldate abbondante olio e, quando avrà raggiunto la temperatura, friggetevi i filetti di alici passati nella farina per un paio di minuti, fino a che saranno dorati.
- Mentre le alici si asciugano e si raffreddano, preparate la marinatura: in un pentolino fate cuocere l’aceto assieme all’acqua, l’aglio tagliato a fettine, il peperoncino macinato e le foglie di menta. Cuocete per circa 10 minuti a partire dal bollore, a fuoco basso, quindi spengete il fuoco.
- Adagiate le alici in una pirofila o in un vasetto, spolverizzatele con poco sale (se utilizzate dei vasi in vetro, spolverizzate ogni strato), versatevi la marinatura ancora calda e ponete in frigo almeno una notte prima di consumare.
Bibliografia:
L. Bruni, Il manuale dell’abbinamento cibo-vino, 2015, Hoepli Editore
D. Guaiti, Liguria, 2010, Edizioni Gribaudo
A. Machado – C. Prete, 1001 Specialità della Cucina Italiana da provare almeno una volta nella vita, New Compton Editori, 2015
R. Astremo, 101 storie sulla Puglia che non ti hanno mai raccontato, 2015, Newton Compton Editori
D. Bianchi, Le 100 perle del mare italiano, 2012, Rizzoli
P. Manzi, La cucina costiera del Mediterraneo: Marche – Abruzzo – Molise, 2014, Bar.it
A. Molinari Pradelli – C. Montanarini, Il mare in tavola, 2002, Edizioni Pendragon
A. Bay, Cuochi si diventa, 2004, Feltrinelli
A. Barbagli – S. Barzini, Cuciniamo il pesce, 2010, Giunti Editore
Verissimo, sono preparazioni simili, dettate più dalla necessità che dal gusto… eppure, tutte diverse, e vale la pena conoscerle
Grazie di aver cotribuito!
Alessia
E’ proprio vero, simili ma ognuna con la sua particolarità! Grazie a te Alessia di essere stata ambasciatrice di questa splendida giornata! Un abbraccio!
bellissime da vedere grazie alle tue foto splendide e sicuramente buone, gusto assicurato!!
Ma grazie infinite Cri!! Detto dalla regina delle acciughe, mi fa un piacere immenso! Un abbraccio
Che meraviglia questo mix di sapori, con le foglioline di menta a dare freschezza… Una volta messe nel vasetto queste acciughe si possono anche spedire, no? 😛
Un bacio Saretta!! 🙂
Eheheh Dani, ma certo… Chiusura ermetica e via, spedisco in tutta Italia!!! Grazie tesoro del tuo commento, un bacio grande a te!! 🙂