“Orsù, via, sediamoci, e cominciamo con queste alici e questo burro fresco…” (Alexandre Dumas, Il Conte di Montecristo, 1845)
Oggi il Calendario del Cibo Italiano festeggia l’acciuga, pesce azzurro tipico delle acque del Mediterraneo. Gaspard Caderousse ne “Il Conte di Montecristo” le metteva in tavola per la colazione, noi magari le gusteremo per pranzo o per cena, grazie a Irene Prandi del blog Stuzzichevole, l’ambasciatrice di oggi, che ce ne parlerà nel suo post ufficiale… Io invece vi porto in quel di Livorno per farvi assaggiare un piatto semplice quanto gustoso, il cui nome già parla da solo: le Acciughe alla Povera di Livorno!
Economiche (e per questo annoverate tra il cosiddetto “pesce povero”), ma ricche di antiossidanti e caratterizzate da una meravigliosa versatilità gastronomica, le acciughe (o alici – a seconda delle zone il nome cambia ma il significato resta lo stesso) sono le “regine” del pesce azzurro, e dal racconto di Dumas possiamo facilmente intendere come già nell’Ottocento la tradizione di pesca e conservazione di esse fosse consolidata non solo in Francia, ma anche negli altri Paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo, Spagna, Italia e Portogallo in primis.
E’ in giugno che le acciughe varcano lo stretto di Gibilterra, da lì dirigendosi verso le nostre coste. “Le acciughe fanno il pallone”, cantava nel 1996 Fabrizio De André: da buon genovese, sapeva che i branchi di alici, nel tentativo di sfuggire ai pescatori, disegnano davvero una sorta di pallone. E’ una corsa contro il tempo, quella degli “acciugai”, che nel silenzio della notte sono pronti a tirar su le reti per imprigionare i pesciolini, attratti dal plancton che diventa fluorescente illuminato dal faro della lampara.
A Monterosso, nel cuore delle Cinque Terre, le acciughe (in dialetto chiamate “pan du ma”, ossia “pane del mare”) sono una merce pregiata: grazie alla particolare salinità del mare di queste coste, infatti, esse hanno un gusto particolarmente equilibrato (saporite ma al contempo delicate), caratteristica che ha valso a questa specialità locale la Denominazione di Origine Controllata da parte dell’Unione Europea. Qui, le acciughe sono preparate davvero in tutte le salse: sotto sale, al verde, ripiene, marinate, fritte, in tortino.
In generale, comunque, l’acciuga è un alimento che non cerca fantasiose associazioni, ma vuole ricette antiche e semplici. Lo sanno, ad esempio, i pescatori di Aci Trezza a Catania, che delle acciughe sotto sale hanno fatto il simbolo della festa della Vergine, giorno che inaugurava la vendita di questi pesci la cui salatura era finalmente giunta a maturazione; il rito della salatura delle acciughe nel catanese, tra l’altro, è descritto anche dal verista Giovanni Verga nel suo romanzo “I Malavoglia”, che racconta come questa attività avvenisse di sera, in famiglia, tra una chiacchiera e l’altra. Ma lo sanno bene anche gli “acciugai” della Valle Maira, nel cuneese, che hanno fatto dello smercio delle acciughe sotto sale la loro fortuna.
In effetti, nonostante oggi si utilizzino molto anche le acciughe fresche, un tempo l’acciuga era consumata solo sotto sale (pare che il nome acciuga voglia proprio dire “salato”): la tecnica, già nota agli Etruschi, consisteva nell’eviscerare e sfilettare i piccoli pescetti argentei e quindi porre i filetti, rossi all’interno, in grandi barili alternandoli a strati di sale. Le acciughe così preparate, oltre che per insaporire e nutrire, venivano usate anche per salare i piatti.
Qualcosa di simile avveniva nell’antica Grecia prima e nell’antica Roma poi: qui, con le acciughe sciolte e liquefatte nella loro salamoia veniva prodotta una particolare salsa denominata “garum” (dal greco “garos”, nome del “misterioso” pesce che veniva usato per prepararla), la cui ricetta sarà descritta dallo scrittore romano Gargilio Marziale nel III secolo d.C. nella sua opera “De medicina et de virtute herbarum”. Se non è dato sapere esattamente che pesce fosse il “garos” (molti pensano che si trattasse già di alici), è certo che ai tempi degli antichi Romani, per preparare questa sapidissima salsa, si utilizzassero pesci azzurri crudi di piccola taglia – principalmente alici, sardine e sgombri – che venivano stesi in una vasca capiente su uno strato di erbe aromatiche secche (aneto, menta, finocchio, sedano, mentuccia, origano, ruta) e ricoperte di sale. I tre strati venivano ripetuti fino al raggiungimento dell’orlo della vasca, la quale veniva quindi chiusa; il tutto veniva lasciato macerare per una settimana, quindi si trasferiva la vasca al sole per altre tre settimane, rimestando ed amalgamando. Si filtrava infine il preparato e si otteneva la famosa salsa, senza però buttare gli scarti: essi andavano a costituire il cosiddetto “alec” (da “alix”, “alice” in latino), altro prodotto diffusissimo all’epoca, appannaggio dei ceti meno abbienti e dei palati meno raffinati rispetto al garum.
Tale salsa è oggi associata alla pasta d’acciughe, ma la colatura di alici che si può gustare ancora oggi sulla costiera amalfitana (principalmente a Cetara) rende forse meglio l’idea.
Nel nostro Paese l’utilizzo delle acciughe in cucina non è diffuso però soltanto in Liguria, in Campania o in Sicilia: la cucina di Livorno, ad esempio, fa dei piatti cosiddetti “poveri” i suoi cavalli di battaglia, e le “acciughe alla povera” sono indubbiamente in prima fila. Si tratta di un gustoso piatto, che ha origine nelle cucine popolari della costa livornese, le cui indiscusse protagoniste sono le acciughe del Tirreno; oltre ad esse, solo aceto di vino bianco e cipolle. Oltre alla varietà di ingredienti necessari per prepararle, “povero” è anche il procedimento, che non necessita di cottura: le acciughe sono semplicemente pulite, sfilettate, macerate nell’aceto e quindi servite con cipolla rossa fresca a fettine. Un piatto povero di nome e di fatto quindi, ma ricchissimo di gusto.
Ovviamente, poiché le alici non subiscono cottura, è necessario che la catena del freddo non sia stata interrotta e che le acciughe siano state in precedenza abbattute: accertatevi che il processo sia stato eseguito correttamente presso il vostro rivenditore e, se così non fosse, occupatevene voi congelando i filetti, una volta puliti, per almeno 96 ore. Per i dettagli, vi consiglio di leggervi questo post di Cristina, che di pesci “poveri ma belli e buoni” se ne intende parecchio! 😉
Per la ricetta io ho seguito quella proposta in questo video; se avete voglia di farvi quattro risate ascoltando il dialetto livornese, spendete cinque minuti per guardarlo 🙂
- 1 kg di acciughe freschissime
- 2 cipolle fresche di Tropea
- 350 ml di aceto di vino bianco
- 500 ml di olio extravergine di oliva (per me La Majatica, BIO)
- sale
- peperoncino fresco
- Pulite le acciughe staccando prima la testa, quindi aprendole a libro scorrendo con il pollice fino alla coda ed estraendo la lisca, lasciando i due filetti attaccati per la coda; fate attenzione ad eliminare anche i visceri e soprattutto la vescichetta con il fiele, la cui amarezza guasterebbe il sapore delle alici. Così svuotati i pesci, lavate i filetti sotto al getto dell’acqua corrente, asciugateli e, se necessario (vedi sopra) congelateli per almeno 96 ore. Una volta scongelati (in frigorifero per un’intera giornata), disponete i filetti in una pirofila (la mia 18x25) e ricopriteli con aceto di vino bianco; lasciateli marinare in frigo per almeno 6 ore (meglio un’intera notte).
- Trascorso questo tempo, che le acciughe saranno praticamente “cotte” dall’aceto e quindi avranno cambiato colore, scolatele bene (non sciacquatele!) e disponetele in una terrina pulita (io ho lavato bene la precedente da 18x25 e l’ho riutilizzata) formando uno strato compatto; salate leggermente, macinate un pizzico di peperoncino e coprite con una cipolla affettata finemente. Formate altri due strati alternando acciughe, sale, peperoncino e cipolla a fettine fini. Completate condendo con olio extravergine di oliva, che dovrà ricoprire a filo le acciughe, e lasciate marinare almeno due ore in frigo prima di servire (ma vi assicuro che il giorno successivo saranno ancora più buone!).
1 notte di marinatura nell'aceto
Almeno 2 ore di riposo nell'olio extravergine di oliva
Bibliografia:
L. Granello, I sapori d’Italia dalla A alla Z, 2015, Gribaudo
A. Barbagli – S. Barzini, Verdure cotte e crude, 2010, Giunti Editore
G. Berri, Enciclopedia Popolare Italiana, 1871, Tipografia Editrice Dante Alighieri di E. Politti
P. Petroni, Il grande libro della vera cucina toscana, 2002, Giunti Editore
A. Frediani, 101 segreti che hanno fatto grande l’Impero Romano, 2014, Newton Compton Editori
M. Lucchetti, 1001 curiosità sulla storia che non ti hanno mai raccontato, 2014, Newton Compton Editori
E. Da Rotterdam, Adagi, 2013, Bompiani
http://www.amordivino.net/
http://www.saporiesaperidisicilia.it/
http://www.ilgiornaledelcibo.it/
http://www.costadeglietruschi.it/
http://www.ristorantebagnettilivorno.it/
http://www.viverelatoscana.it/
http://poverimabelliebuoni.blogspot.it/
http://www.ilboccatv.com/
Forte l’idea del video in livornese!! brava Sara e grazie per la citazione, addirittura mi hai elencata tra le fonti!
Ehehhe quel “Bocca” è forte, l’ho scoperto attraverso le mie ricerche, pensa un po’! Quanto a te, la citazione è stata doverosa, primo perchè davvero sei stata una delle mie fonti e secondo perchè io quando penso alle alici non posso che pensare a te 😀 Ma apparte questo, faccio sempre riferimento al tuo post quando tratto il rischio anisakis 😉 Un bacione!
Ciao Sara, sai non conoscevo questa ricetta e ad una piemontese come me non può che piacere… Dove c’è aceto c’è vita 🙂 Grazie per il tuo contributo!
Eheheh Irene, non si finisce mai di imparare! A Livorno, se dici “acciughe” sono per forza “alla povera”… Evviva l’aceto e gli antichi ma efficaci metodi di conservazione! Un bacione e grazie a te per essere stata ambasciatrice di questa giornata! :*
C ‘ ero Sara ! Questa volta ho potuto gustare questa pietanza in diretta !
E devo dire che queste alici erano una vera bonta ‘ !.Complimenti poi per il post…sempre completo…questa volta ancor di piu’ Bacioni
Grazie di cuore mamy! Stavolta ho anche la testimone ?? Baci!