“Il mare non ha paese nemmeno lui, ed è di tutti quelli che lo stanno ad ascoltare, di qua e di là dove nasce e muore il sole.” (Giovanni Verga, “I Malavoglia”, 1881)
Piatto bandiera della cucina livornese, il Cacciucco – rigorosamente con cinque “C” – è una delle più celebri pietanze a base di pesce della tradizione italiana. Oggi il Calendario del Cibo Italiano festeggia questa splendida preparazione vanto di Livorno, con Fabio Campetti del blog Visioni dalla Cucina in Là a farci da ambasciatore. Che io sia amante del pesce è risaputo, che sia un’estimatrice del Cacciucco Livornese forse un po’ meno – beh, adesso sapete anche questo! – ed ho finalmente colto l’occasione per pubblicarlo sul blog. Vi lascio quindi al post ufficiale di Fabio… Poi però tornate da me! 🙂
Livorno è molto diversa dalle altre città toscane. “Inventata” dai Medici nel 1593, quando i Signori di Toscana decisero di farne il principale sbocco a mare del Granducato e ne favorirono il ripopolamento assicurando con un proclama ogni tipo di libertà a chiunque vi si trasferisse, essa divenne ben presto la città dei senza patria, crocevia di commerci – per via del porto – e rifugio di esuli, immigrati e perseguitati (ebrei, musulmani, ma anche cristiani) che impararono a convivere. Nel corso dei secoli, la città ha mantenuto il suo carattere cosmopolita, ben interpretato dal suo piatto simbolo, il Cacciucco appunto, termine che nel corso degli anni è diventato proprio sinonimo di confusione, di miscuglio, di melting pot, per dirla all’inglese. Aldo Santini, che della cucina livornese è incomparabile teologo, asserisce che non a caso esso è il simbolo di Livorno, essendo la città stessa “un cacciucco di genti”.
Questo piatto, oggi molto trendy e discretamente costoso se mangiato al ristorante, nasce come pietanza estremamente povera: pare che fosse il pasto tipico dei carcerati dei bagni penali costruiti dal Granduca Ferdinando I all’inizio del 1600 per imprigionare gli Ottomani catturati durante le battaglie navali. Il sapore del pesce appena pescato risarciva dunque il palato di antichi galeotti turchi, e forse è proprio a loro che si deve l’invenzione di questo piatto: il termine “cacciucco”, infatti, deriva dalla parola turca “küçük”, che significa “minutaglia”, indicando quindi una preparazione composta da un grande assortimento di piccoli pezzi di pesce.
I livornesi, forse rinnegando le probabili origini turche del piatto simbolo della loro città, preferiscono raccontare la leggenda, triste e romantica, secondo la quale la moglie di un pescatore livornese morto in mare durante una tempesta, caduta in miseria, per sfamare i suoi figli andasse ad elemosinare il pesce presso gli altri pescatori, ricevendo ora un totano, ora una tracina, ora una cicala. Che sia stata lei a cucinare per la prima volta il cacciucco o che siano stati invece i Turchi ad importare questa meravigliosa pietanza di pesce in quel di Livorno, il risultato non cambia: esso divenne ben presto piatto di recupero dei pescatori della città, costituito da varietà di pesci un tempo di scarso valore commerciale e oggi invece molto in alto nel listino prezzi.
Se i contadini insegnano che per fare un buon brodo ci vogliono almeno sette tipi di carne, per fare un buon sugo di mare di pesci ne servono molti di più: tredici, per la precisione, così vorrebbe la tradizione. L’importante, comunque, è che la cottura sia lenta e che il sugo, a base di pomodoro, sia ben saporito. A proposito di pomodoro, è certo che la prima versione del cacciucco, definita “precolombiana”, ne fosse priva, poiché quest’ortaggio, introdotto in Italia a metà del Cinquecento, cominciò a essere consumato nel solo corso del Seicento, ma nella Riviera degli Etruschi non fu coltivato fino a metà dell’Ottocento.
Per preparare un cacciucco con tutti i sacri crismi occorrono pesci da taglio (principalmente il palombo, immancabile, ma volendo anche – in quantità minori – coda di rospo, murena, muggine, grongo, capitone, razza), pesci con lisca, da zuppa (bavosa, gallinella, scorfano – anche detto pesce cappone -, pesce prete, sarago, ghiozzo, tracina) e molluschi (seppia, polpo, calamaro o totano), in proporzioni variabili; i soli crostacei contemplati nella preparazione sono le cicale di mare (anche conosciute come spannocchie, pannocchie o canocchie). Affinchè sia rispettata la tipicità della pietanza, è indispensabile che il pesce sia di scoglio e non di sabbia, proprio perché anticamente sui litorali livornesi si trovava soltanto questo tipo di pescato. Tali pesci sono cucinati in un brodo ed insaporiti dal peperoncino (in dialetto chiamato “zenzero”); il piatto viene servito tradizionalmente su un letto di fette di pane abbrustolite (volendo strofinate con l’aglio) e accompagnato rigorosamente da vino rosso, lo stesso che si utilizza per sfumare il pesce.
Tredici i pesci, cinque le “C”: diffidate dalle imitazioni, il “caciucco” con sole quattro “C” non esiste! Esistono, però, preparazioni molto simili, come il cacciucco viareggino, più raffinato dell’originale livornese, che si distingue da quest’ultimo per l’uso del vino bianco in cottura e per l’utilizzo di un minor numero di varietà di pesci, sostituite con altri crostacei più sofisticati delle cicale (scampi e gamberoni) e con qualche guscio (cozze e/o arselle).
Nonostante il cacciucco abbia indiscutibilmente Livorno come suo principale riferimento, alla città di Viareggio va riconosciuto il merito di aver divulgato la ricetta tra gli esponenti del bel mondo che la frequentavano negli anni Trenta: ideatore della “campagna promozionale” sarebbe stato il pittore versiliese Lorenzo Viani, che entusiasta della “cacciuccata” imbandita nel 1936 nelle strade di Livorno in onore del gerarca Costanzo Ciano – consuocero del Duce – ne parlò alle trattorie viareggine che lo proposero con grande successo nei loro menù. A proposito della serata indetta da Ciano, ricorda un vinaio anarchico:
“Furono stappati migliaia di fischi di vino rosso. Arrivarono appositamente dal Chianti, sui carri a barca, tirati da due cavalli, con le piramidi dei fiaschi che sembravano monumenti all’abbondanza… Sì, era l’epoca fascista ma nessuno quella sera parlò di politica, nessuno aveva la camicia nera, nessuno ci ruppe le scatole con Giovinezza, e con gli alalà. Ai tavoli, a far bisboccia c’eravamo anche noi anarchici. Ciano, che ci conosceva bene, ci salutò con aria pigliaingiro, mentre anche lui ci dava sotto. Era un bel mangiatore. Lo dovevate vedere: in maniche di camicia e coi baffi unti di sugo. Non per nulla gli avevano messo il soprannome di “Ganascia””.
La ricetta del cacciucco che io vi propongo è un mix tra quella di Umberto Creatini, uno dei più acclamati chef toscani, e quella del fiorentino Paolo Petroni, Presidente dell’Accademia Italiana della Cucina; data la grande quantità di pesci che conviene usare per la riuscita di un buon cacciucco livornese, è difficile prepararlo per meno di 6 persone… Fossi in voi non ci proverei; piuttosto, alzerei il telefono ed inizierei a chiamare gli amici!
- 600 g di pesci da taglio (io palombo e coda di rospo)
- 900 g di pesci con lisca, da brodo (io gallinella, scorfano, tracina)
- 3 cipolle rosse
- 10 spicchi d’aglio
- 10 foglie di salvia
- 100 g di prezzemolo
- 300 g di olio extravergine di oliva
- 900 g di molluschi (polpo, seppie, totani)
- 400 ml di vino Chianti giovane
- 400 g di passata di pomodoro
- 60 g di concentrato di pomodoro
- 12 cicale di mare
- 24 fette di pane toscano (non salato), raffermo
- sale
- pepe
- peperoncino
- Pulite il pesce: decapitate, eviscerate e diliscate accuratamente i pesci più grandi (tenendo da parte teste e lische), quindi tagliate i filetti in tranci di medie dimensioni; per quanto riguarda i pesci più piccoli eviscerateli soltanto, lasciandoli interi.
- Preparate un trito con cipolla, aglio, salvia e prezzemolo. Versate metà dell’olio in una pentola capiente e fatevi imbiondire metà del trito preparato, quindi fatevi rosolare il polpo tagliato a tranci e, circa 10 minuti dopo, le seppie e i totani tagliati a strisce. Una volta che i molluschi saranno dorati versate metà del vino, lasciatelo evaporare, quindi aggiungete la passata di pomodoro e lasciate sobbollire a fuoco dolce per circa 30 minuti.
- Nel frattempo, in un’altra pentola, fate dorare l’altra metà degli odori assieme all’olio rimasto, mettete tutti i pesci piccoli e i resti di quelli grandi (teste e lische), rosolate per 10 minuti, salate, pepate e bagnate con il restante vino. Quando questo sarà evaporato, aggiungete il concentrato di pomodoro e mezzo litro d’acqua, lasciate ridurre della metà, quindi filtrate il sugo con un colino a maglie fini e versatelo nella casseruola assieme ai molluschi e alla salsa di pomodoro; lasciate restringere qualche minuto.
- A questo punto unite i pesci più grandi già puliti e sfilettati ed i pesci da taglio ridotti in tranci; cuocete per circa 10 minuti, quindi unite le cicale, sul cui dorso avrete praticato un taglio nel senso della lunghezza, e lasciate insaporire ancora per qualche minuto. A fine cottura regolate di sale, pepe e peperoncino; lasciate riposare una decina di minuti affinché il sugo si addensi leggermente.
- Tostate le fette di pane su di una teglia antiaderente ben calda; in ogni scodella disponete una fetta sul fondo ed altre tre in verticale sui bordi. Distribuite nelle scodelle il cacciucco e servite.
Bibliografia:
C. Barberis, Mangitalia, 2010, Donzelli Editore
A. Santini, Cucina toscana delitti e castighi, 1983, Belforte
A. Machado – C. Prete, 1001 specialità della cucina italiana, 2015, Newton Compton Editori
P. Petroni, Il grande libro della vera cucina toscana, 2013, Giunti Editore
AA. VV., Ricette terre nostre, 2010, Edizioni Del Baldo
AA. VV., L’Italia del Gambero Rosso: Maremma e Costa Toscana, 2007, Edizione speciale per Il Sole 24 Ore
AA. VV., Cucina regionale: 630 piatti della tradizione, 2001, Slow Food Editore
http://www.slowfood.it/il-cacciucco/
http://www.cacciucco.org/
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