Oggi il Calendario del Cibo Italiano celebra Anice e Finocchietto, piante erbacee che crescono in numerose zone del nostro paese. La nostra ambasciatrice, quest’oggi, sarà la mia cara amica Valentina del blog Di Verde e Di Viola (qui potete trovare il suo post ufficiale) e per lei ho deciso di contribuire con un piatto classico, ma gustosissimo, della tradizione siciliana (eh sì, anche stavolta!): la “Pasta chi Saddi” Palermitana: Bucatini con Sarde Fresche e Finocchietto Selvatico!
Ps. Vale non sei tu ad ispirarmi Sicilia, sono io che devo essere stata siciliana, in un’altra vita…! 🙂
(Ah: date un occhio a questo favoloso servito di piatti… Vedete che meraviglia? Regalo di compleanno proprio suo, di Valentina, insieme con Lucia ed Erica…!)
Ammetto di non essere solita andare per boschi alla ricerca di piante spontanee: le mie “scampagnate” si limitano a qualche graffio tra i rovi durante l’estate per fare scorta di more. Questo per dire che non avrei saputo proprio dove andare per trovare una discreta quantità di finocchietto selvatico… E la pasta con le sarde, si sa, senza finocchietto non è più degna di questo nome. Ma il mio santo suocero anche stavolta mi ha salvata:
– “Giuseppe, sai mica dove potrei trovare in zona un po’ di finocchietto selvatico?”
– “Certo. Dimmi quanto te ne serve e per quando.”
– “No, voglio venire con te.”
– “Ok, giovedì nel tardo pomeriggio andiamo.”
In realtà non è andata poi come speravo: (San) Giuseppe la mattina presto è andato in avanscoperta ed ha trovato tanti, troppi pruni che occludevano il passaggio per raggiungere il finocchietto. E così ha chiamato un amico a Segromigno (parecchio più in su diciamo), si è fatto 40 minuti di strada ad andare e 40 a tornare, ed ha suonato alla mia porta con questo bel mazzo…
Ed eccomi qui, quindi, con mezzo chilo di finocchietto selvatico appena raccolto (anche se non da me) da pulire… Ma che profumo favoloso!
Il finocchietto selvatico (Foeniculum volgare) è un’ombrellifera che cresce al bordo dei campi, soprattutto nel Sud Italia, ed è conosciuto da secoli in tutto il Mediterraneo con il nome di “finocchiella”. Plinio assicurava che il finocchio rendesse la vista lunga e mantenesse giovani: “Le foglie stimolano l’appetito sessuale” e “in qualunque forma il finocchio aumenta Io sperma”. E non è certo un caso se a Roma i gladiatori prima della lotta ne mangiavano in quantità, mentre le signore romane lo usavano per dimagrire. Il finocchietto e il finocchio hanno poi la rara capacità, grazie ad alcune sostanze aromatiche, di rendere buono anche il vino che buono non è: lo sapevano bene gli osti medievali che offrivano insieme al vino spicchi di finocchio, pratica da cui è nata l’espressione “lasciarsi infinocchiare”.
Nonostante la sua crescita allo stato selvatico, non mancano alcune produzioni di solida rinomanza: nel Lazio il finocchio della Maremma Viterbese, in Campania il finocchio Bianco Palettone (NA) e il finocchio di Sarno (SA), in Calabria il finocchio di Isola Capo Rizzuto (KR) ed il finocchio selvatico.
I semi di finocchio sono molto utilizzati in Italia e profumano molti prodotti della tradizione, come le olive schiacciate calabresi, i taralli pugliesi, la finocchiona (celebre salume toscano) e la porchetta laziale. Tra i piatti della nostra tradizione che ricorrono invece alle foglie del finocchietto selvatico, il più noto è senz’altro la siciliana pasta con le sarde, un piatto fantastico, una vera sinfonia di sapori, l’ennesima dimostrazione di come non sia sempre necessario avere a disposizione ingredienti rari e costosi per ottenere buone preparazioni.
In Sicilia, da sempre in cucina si fa largo uso di erbe quali origano, menta, basilico e finocchietto selvatico, che cresce spontaneamente in ogni angolo dell’isola. La cucina siciliana, rustica e barocca allo stesso tempo, affonda le sue origini con la storia di Greci, Romani, Bizantini, Arabi, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi e Spagnoli, tutti popoli con i quali i siciliani hanno saputo convivere per secoli, riuscendo a impossessarsi dei segreti di cucine vicine e lontane con le quali le loro abitudini alimentari si sono forzatamente incrociate. La pasta con le sarde non è che l’espressione più eloquente di questa commistione di secoli, di storie e di mondi: dalle parole di un grande gastronomo, il duca Denti di Pirajno, “[…] raccogliete i finocchi sulle montagne dove ancora risuona l’eco della zampogna di Pan […], nel mare che vide la sconfitta delle triremi ateniesi pescherete le sarde e le acconcerete all’uso musulmano, con i pinoli e l’uva passa: e tutto dovrà indorarsi nel forno, dono dei navigatori normanni”.
È importante sottolineare che i pinoli e l’uvetta erano un tempo ritenuti il rimedio alle intossicazioni alimentari. E’ per questo che i due ingredienti si ritrovano in tantissime ricette siciliane a base di sarde (come le sarde a beccafico): esse, infatti, soprattutto nelle cucine povere, non sempre erano freschissime, o comunque si rovinavano facilmente. Inoltre l’uvetta, per la sua consistenza, veniva aggiunta anche per simulare pezzettini di carne.
Autentico capolavoro culinario, la pasta con le sarde condensa in sé la molteplicità degli influssi che hanno contaminato la cucina siciliana soprattutto nell’abbondante speziatura e nel suo gusto dolceforte. Ciò è vero principalmente per la versione palermitana di questo primo piatto, poiché nell’agrigentino e nel ragusano la pasta con le sarde, piatto festivo, viene cucinata sostituendo pinoli, uvetta e zafferano con mollica di pane e sugo di pomodoro. Questa versione, curiosamente, è indicata con il nome di “pasta alla milanese” (“a milanisa”): ciò deriva probabilmente dal fatto che i Lombardi vennero in Sicilia nel Medioevo attirati dai Normanni per la lavorazione della seta, anche se non è chiaro il motivo per cui il loro nome sia legato a questo piatto, peraltro a base di pomodoro, ancora sconosciuto a quell’epoca.
La versione da me proposta è quella classica palermitana, di più spiccata influenza orientale. Per questo primo piatto, tra l’altro, ho inaugurato una preziosa bottiglia d’olio extravergine di oliva bio dell’Azienda Agricola Il Gobbo aromatizzato al finocchietto selvatico, ottenuto per macerazione di quest’ultimo.
Ultimissima cosa: le sarde devono essere freschissime, non in scatola o sott’olio. Anche se non faremo come il re francese Enrico IV, che amava consumarle fresche, a colazione, vedrete che il gusto sarà decisamente migliore!
- 200 g di sarde fresche (peso al netto degli scarti; lordo 500 g)
- 200 g di finocchietto selvatico (peso al netto degli scarti)
- ½ cipolla
- 4 filetti di acciughe sott’olio
- 35 g di uvetta
- 15 g di pinoli
- 2 g di zafferano in pistilli
- 180 g di bucatini
- sale
- olio extravergine di oliva aromatizzato al finocchietto selvatico
- pepe
- Pulite le sarde squamandole e raschiandole delicatamente, quindi tirate via la testa e le interiora ed apritele dal ventre eliminando la lisca; sciacquate i due filetti attaccati, asciugateli e teneteli da parte. Mondate il finocchietto scartando gli steli più duri, lavatelo bene e lessatelo per 20 minuti in abbondante acqua salata, quindi scolatelo con una schiumarola conservando l’acqua di cottura e, su di un tagliere, tritatelo grossolanamente al coltello.
- Tritate la cipolla e fatela appassire con l'olio in una padella capiente; quando sarà trasparente unite i filetti di acciuga e, una volta che questi saranno sciolti, aggiungete l'uvetta precedentemente ammollata per 10 minuti in acqua tiepida, i pinoli, il finocchietto tagliuzzato e lo zafferano sciolto in una tazzina d’acqua di cottura. Lasciate insaporire il tutto per alcuni minuti, quindi incorporate i filetti interi di sarde; aggiustate di sale e pepe, coprite e fate cuocere per circa 10 minuti, mescolando di tanto in tanto delicatamente e aggiungendo un po' di acqua di cottura del finocchietto se necessario (il sugo non dovrà risultare troppo asciutto).
- Lessate i bucatini nell'acqua del finocchietto che avrete riportato a bollore; scolate i bucatini al dente e saltateli nella padella con il condimento, unendo a crudo un filo d’olio aromatizzato al finocchietto per mantecare. Servite subito.
Bibliografia:
A. Denis, Erbe, spezie e condimenti, 2005, G.R.H. S.p.a.
AA. VV., 1000 ricette della cucina italiana, 2010, Rizzoli
AA. VV., L’Italia del biologico, 2002, Touring Editore
E. Carcano, Il banchetto del Gattopardo: a tavola con l’aristocrazia siciliana, 2005, Il Leone Verde Edizioni
AA. VV., Sicilia, 2003, Touring Editore
Donpasta.Selecter, Sud Sound System: 30 ricette del Mediterraneo, 2006, Kowalski Editore
E. Villagrossi, Viaggio nell’emisfero del gusto, 2014, Youcanprint
H. Bausenhardt, Sicilia, 2011, EDT srl
A. Barbagli – S. Barzini, Cuciniamo il pesce, 2010, Giunti Editore
R. Baruffi, Cucina mediterranea: la storia nel piatto, 2013, Renata Baruffi
A. Denti di Pirajno, Il gastronomo educato, 1950, Vicenza
http://www.cataniatradizioni.it/
alessia dice
Ci credi che ho chiesto a tutti i miei contatti siciliani la ricetta e NESSUNO me l’ha ancora data?? meno male che c’è la Sara! grazie!! 😀
PS io invece sono sempre a rovistare nei boschi….
pixelicious dice
Grazie di cuore anche qui Alessia! Quando cerchi ricette siciliane… Vieni da me, toscana DOC ma con la Sicilia nel cuore <3
Cristina Galliti dice
Grande Sara! Questa è la versione che preferisco, anch’io la faccio così, aggiungo solo un po’ di muddica abbrustolita alla fine, più Sicilia di così…vero? 🙂
pixelicious dice
Mitica Cri! Ecco, la prossima volta ci metto anche la “muddica”, che fa tanto Sicilia (e che a dire il vero metterei in ogni piatto di pasta 😀 )… Grazie di essere passata Cri! Un abbraccio 🙂
La cucina di Anisja dice
Un’interpretazione magistrale di un classico intramontabile, che spettalolo!
pixelicious dice
Ma grazie infinite Anna!! Un abbraccio