Una terra incantata, un paesaggio mozzafiato, ricchezze territoriali senza pari: è questo il Cilento, zona campana della provincia di Salerno, a sud della città, dichiarata dall’UNESCO patrimonio dell’umanità.
In un weekend di ottobre, quando dalle nostre parti il maltempo la faceva da padrone, in Cilento il sole splendeva alto nel cielo, permettendo a me e alle mie compagne di viaggio (Stefania, Chiara, Leyla, Anna Laura e Marina), socie AIFB, di visitare le splendide ricchezze di un territorio forse troppo poco conosciuto e di viverle a 360°.
La nostra base è Acciaroli, paesino sul mare nel comune di Pollica, cuore della costa cilentana, tanto popolato in estate, con le sue spiagge bandiera blu da 20 anni (non vi sono scarichi industriali né tecniche di agricoltura intensiva) quanto deserto in inverno, con i suoi appena 700 abitanti. Acciaroli, assieme alla vicina frazione di Pioppi, è capitale mondiale della Dieta Mediterranea.
Ma prima ancora di raggiungere Acciaroli, dalla stazione di Salerno ci spostiamo assieme a Joseph a Paestum, antica città della Magna Grecia nel comune di Capaccio, i cui resti sono conservati magnificamente in un ambiente magico e imponente.
Il nome della città, “Paestum”, è la latinizzazione romana di “Poseidonia”, nome con il quale i Greci battezzarono la città da loro fondata intorno al 700 a.C. dedicandola a Poseidone, il Dio del mare. Poseidonia, colonia prospera della Magna Grecia, fu fondata da una minoranza greca, i Sibariti, inizialmente con funzione di scalo commerciale; con la distruzione della città di Siris, base ionica dei Sibariti, quest’ultimi si rifugiarono a Poseidonia portandovi le loro ricchezze.
Di epoca greca sono i tre monumentali templi: quello di Nettuno (così ribattezzato dai Romani in onore del loro Dio del mare), il più maestoso, un tempo colorato con colori naturali come il bianco, l’azzurro ed il porpora, quello di Era, impropriamente detto “la Basilica” (nel senso originario del termine), poiché si pensava avesse funzioni civili ed amministrative, e quello di Atena, il più piccolo, costruito interamente in roccia calcarea.
Il nome della città venne cambiato in “Paistom” con l’avvento dei Lucani intorno al 400 a.C., che si impossessarono della città pur mantenendo usi e costumi principalmente greci. Circa 200 anni dopo, però, i Romani sottrassero la colonia ai Lucani, cambiandone il nome in “Paestum”: fu qui che avvennero le modifiche più sostanziali, come la costruzione di edifici quali il foro in sostituzione dell’agorà e l’edificazione dell’anfiteatro romano.
La colonia romana di Paestum era strettamente legata alla capitale: a loro i coloni fornivano navi e cibo, e si dice che che qui si coltivassero le rose di Paestum, una varietà particolare (cantata anche da Virgilio) che fioriva più volte all’anno e che veniva portata a Roma come dono per l’Imperatore.
L’impaludamento della città fece sì che essa perdesse progressivamente importanza, fino ad essere completamente tagliata fuori dagli scambi commerciali. Oggi di Paestum restano solo i ricordi, costruzioni stratificate di stampo greco e romano riportate alla luce soltanto intorno al 1762 grazie alle bonifiche ad opera di Carlo di Borbone, allora Re del Regno delle Due Sicilie, che fece anche costruire una strada che esiste tuttora e che passa attraverso il sito archeologico dividendo in due parti l’anfiteatro.
Il sole accarezza le nostre teste e, immerse nella storia, non ci rendiamo conto del tempo che passa. Ma il tempo è tiranno e bisogna ripartire… Prima, però, facciamo una sosta all’Hotel La Playa, dove pernotteremo.
Qui conosciamo Giulia e Gladys, rispettivamente figlia e nipote di Giancarlo Leone e Marinella Schiavo, i padroni dello splendido albergo ma soprattutto coloro che, assieme ovviamente all’AIFB, hanno reso possibile il nostro soggiorno in quel del Cilento e l’arricchimento delle nostre conoscenze, ospitandoci, portandoci in giro e facendoci sentire a casa!
L’hotel è posizionato sulla piccola baia di Acciaroli, ad un passo dal mare, e la vista è mozzafiato… Anche la colazione non è da meno: il succo di aloe vera e mirtilli ritempra corpo e mente, la ricottina fresca e le marmellate fatte in casa sono un connubio indescrivibile!
Prima di cena, visitiamo la Torre Angioina appartenente alla famiglia Schiavo. Un tempo una delle tante torri di avvistamento normanna, la famiglia Schiavo ha deciso di restaurarne i locali per rendere possibile l’utilizzo, ad uso privato, di quella che è a tutti gli effetti una casa splendida.
Qui ci attende un sontuoso aperitivo a base di fingefoods che profumano di mare: polpo lesso, bruschette con pomodori e alici e sformatino di frutti di mare…
Il tutto accompagnato da sontuosi vini del territorio che Giuseppe di Fiore, titolare di una delle cantine di produzione, le Cantine Barone, ci spiega nel dettaglio. I suoi occhi si illuminano quando ci racconta di come il Cilento si stia esprimendo sempre di più dal punto di vista enologico negli ultimi anni, grazie ad alcune cantine, come la sua, che hanno investito nella produzione di vino.
La prima cantina sociale del Cilento fu costruita nel 1949 ed era una sorta di cooperativa; la zona si è poi evoluta nell’ambito della produzione vitivinicola, ed oggi può vantare di possedere grandi vini: un territorio in continua crescita. L’uvaggio bianco più diffuso è il fiano, tipico della zona; il rosso più noto è invece l’aglianico (dal greco “ellenico”, in onore dei greci che si insediarono nella terra di Velia).
Ci focalizziamo in particolare sui vini bianchi, degustando due fiani provenienti da territori collinari e due da territori pianeggianti. Le sensazioni sono diverse, espresse a seconda dei vari territori…
1 – Vignolella doc (in dialetto “piccola vigna”), Fiano delle Cantine Barone: qui ci troviamo in collina, a Rutino, a 350 m sul livello del mare, a 7 km dalla costa sulla quale si affaccia Agropoli. Vi è una forte escursione termica tra giorno e notte e per questo il vino assume un gusto sapido e salino: i terreni in cui le uve crescono, qui, sono ricchi di sostanze nutritive.
2 – San Matteo doc, Fiano delle Cantine Ròtolo: anche questo vino proviene da uve coltivate a Rutino, 350 m sul livello del mare. Simile al precedente, il San Matteo ha un colore più carico e, all’olfatto, è più intenso, più fruttato, più maturo del precedente; il gusto, invece, è meno sapido. San Matteo è il patrono di Salerno, che si celebra il 21 di settembre.
3 – Kratos doc, Fiano delle Cantine Maffini: questo vino è prodotto con uve coltivate nei terreni pianeggianti di Santa Maria di Castellabate (la “marina” di Castellabate). Le sensazioni olfattive sono svariate: erbacee e fruttate, con sentori di pesca e di nocciola.
4 – Porco Nero igp, Fiano della Cantina San Salvatore: proviene da uve coltivate a Giungano, un paese situato tra Agropoli e Paestum. Qui, si possono ritrovare sentori di frutta esotica.
Restiamo ad Acciaroli per la cena: dal lungomare ci dirigiamo verso l’interno, pochi passi e ci troviamo di fonte a Il Rosso e il Mare, splendido ristorante di proprietà di Antonio Vassallo. La particolarità di questo locale è l’utilizzo delle famose alici di menaica, presidio Slow Food, pescate con un’antica tecnica sviluppatasi ai tempi degli antichi greci e che è sopravvissuta solo in queste zone, precisamente a Marina di Pisciotta, grazie a pochi pescatori che continuano a portare avanti questa tradizione.
L’unicità di questa tecnica di pesca sta proprio nella rete, la “menaica” appunto, che seleziona soltanto le alici più grandi, che agitandosi per liberarsi perdono gran parte del loro sangue. Le reti vengono ritirate a mano ed i pesci estratti ad uno ad uno, puliti e sistemati in cassette di legno, quindi subito lavati in salamoia e messi sotto sale. Queste alici hanno una caratteristica carne rosacea ed un profumo intenso e delicato che le rende uniche.
Grazie ad Antonio e ad Alessandro, il suo chef, noi riusciamo a degustarle in piatti che sono veri e propri capolavori: crema di zucchine con alici imbottite (farcite con cacio ricotta di capra, prodotto dal latte della capra bianca del Cilento; questo formaggio è un presidio Slow Food) e polpettine di merluzzo; polpettine di melanzane, olive “ammaccate” (schiacciate, anch’esse presidio Slow Food in quanto vengono lavorate con metodo tradizionale, ossia snocciolate, marinate in acqua per perdere il gusto amaro e poi messe sott’olio), tonno rosso sott’olio e alici di menaica; spaghetti con alici di menaica crude e pomodorini; crema di limone, sfoglia di cannolo cilentano e cioccolato.
Stanche, appagate e curiose per la giornata che ci attende ce ne andiamo a dormire, cullate dal rumore delle onde del mare a me tanto caro… Restate sintonizzati: presto vi racconterò la seconda parte di questo meraviglioso blogtour!
Cristina...per Incanto dice
Bravissima Sara, sei riuscita a portarmi con te in questo viaggio passo a passo e farmi sentire per sino i sapori delle meraviglie che hai assaggiato.
Meraviglioso Cilento che in giorno spero di conoscere.
Ti abbraccio e aspetto la parte seconda 😉
Sara dice
Ciao bellezza, che bello vederti qui! Guarda, io non conoscevo per nulla il Cilento, ne sono rimasta ammaliata! Seguimi mercoledì per la seconda parte! Che non sarà l’ultima 😀
Un abbraccio a te, buona notte! :*
zia Consu dice
Che splendida esperienza 🙂 Non ti ferma più nessuno 😛
Sara dice
eheheh Consu, non è sempre così! Ma ammetto di essere stata fortunata a poter partecipare a questo blogtour… Un’esperienza meravigliosa! :*