Vi avevo lasciati a metà della seconda giornata del nostro splendido blogtour targato AIFB in quel del Cilento (se vi siete persi anche la prima parte, la trovate qui). Ecco l’ultima parte del mio racconto… Spero davvero di essere riuscita e di riuscire ancora ad emozionarvi almeno un po’, a farvi percepire almeno da lontano le emozioni indescrivibili che noi abbiamo avuto la fortuna di vivere in prima persona!
Una delle tappe forse attese con più curiosità da tutte noi “blogtouriste” (Stefania, Chiara, Leyla, Marina, Anna Laura ed io) era senz’altro la visita al Caseificio Le Starze, anch’esso situato nel cuore del Parco Nazionale del Cilento, a Pattano, frazione di Vallo della Lucania.
Il Caseificio è nato nel 2006, con la finalità di concretizzare l’amore per la cultura della terra cilentana attraverso l’impegno di tutelare e valorizzare le tradizioni della produzione casearia del Cilento. I prodotti sono davvero di qualità, non c’è che dire!
Prima di visitare il caseificio, facciamo un giro nelle stalle: le timide mucche ci osservano da lontano, in poche si avvicinano; i vitellini invece sono più curiosi e ci accerchiano come dei bimbi vogliosi di coccole! Alcuni sono nati addirittura il giorno prima, e mi diverto ad accarezzarli mentre cercano insistentemente le mie dita, affamati di latte materno! 🙂
Assistiamo alla mungitura delle mucche, che avviene in maniera meccanizzata: per circa mezz’ora, due volte al giorno, viene estratto il latte con il quale il caseificio produce i suoi favolosi prodotti, di una freschezza unica!
Ma la particolarità del caseificio (anzi, si potrebbe parlare davvero di unicità) è la Mozzarella nella Mortella, un prodotto tipico delle zone montane del Cilento. Come vuole la tradizione, il caseificio la lavora a mano, utilizzando esclusivamente latte di mucca: il latte viene riscaldato a 38° C e viene fatto riposare per un’ora assieme al caglio del vitello (per questo prodotto si utilizza esclusivamente il caglio del vitello, mentre per altri formaggi, come ad esempio il caciocavallo, si possono utilizzare diversi cagli), quindi si trasforma in cagliata. Si parte da un “pugno” di cagliata, lo si lavora e lo si tira a mano dandogli una forma affusolata (la tipica forma di “lingua di vacca”), quindi si pongono le “lingue” di mozzarella prima in acqua fredda, poi in vasche di salamoia per pochi minuti. A questo punto, la mozzarella è pronta per essere avvolta nei rametti di mortella (una pianta appartenente alla famiglia del mirto); è sufficiente una sola notte affinché la mozzarella acquisti il sentore delle foglie di mirto, che la rende particolare e unica.
Un tempo, questa pratica aveva un fine ben preciso: gli allevatori, infatti, avvolgevano le mozzarelle nei fasci di rami di mirto per rendere più pratico il trasporto dai monti fino a valle.
Potevo io forse non provare l’ebrezza di lavorare la mozzarella? Giammai! Eccomi all’opera, qui sopra! E dopo il dovere, il piacere: degustare questo prodotto così unico nel suo genere è qualcosa di indescrivibilmente godereccio! Ma anche la ricottina fresca, credetemi, è davvero favolosa 🙂
Per cena ci spostiamo a Cannicchio di Pollica, nella Valle del Monaco, presso l’Agriturismo il Mulino, un luogo magico immerso nel verde, tra olivi, fichi e vigneti, che mette in tavola soltanto i prodotti della propria terra: ci accoglie una struttura rustica in pietra locale, nello stile tradizionale dei casolari cilentani, semplice ed accogliente, con un ampio portico che guarda la vallata.
Al Mulino, la cucina è quella tradizionale del Cilento: ci attendono squisiti piatti della tradizione meridionale, a base di prodotti di stagione dal profumo tipico cilentano. Iniziamo con olive ammaccate, bruschette di pomodoro, soppressata di maiale, pizza fritta, zucca e melanzane arrostite e marinate; proseguiamo con cavatelli melanzane e provola e ravioli di ricotta con sugo a base di zucca, quindi un misto di carne (vitello, manzo e salsiccia) alla brace accompagnati da friarielli (cime di rapa ripassate in padella); terminiamo con fichi mandorlati e cannoli cilentani con crema di semolino. Che cosa chiedere di più?
La notte passa in fretta ed in men che non si dica è già domenica. Dopo la splendida colazione all’Hotel la Playa, salutiamo il mare che ci ha tenuto compagnia durante queste notti e lasciamo la struttura. L’ultima tappa del nostro tour è la Cooperativa Nuovo Cilento, una cooperativa agricola composta di 200 soci che produce olio di oliva biologico e DOP. Ad accoglierci è il signor Elio D’Agosto, presidente della cooperativa, che ci racconta la storia ed metodi di produzione del frantoio.
Il frantoio è nato nel 1989, e si è piano piano evoluto fino ad arrivare ad utilizzare la tecnologia Leopard della Pieraslisi, azienda leader mondiale nella produzione di macchinari olearici, che valorizza al meglio il prodotto finito. I macchinari utilizzati sono importanti, ma fondamentale per il sistema è l’uomo, il suo cuore ed il suo cervello, grazie al quale le macchine funzionano.
Le olive vengono trasportate in cassette o cassoni; la temperatura non deve essere alta, quindi non deve superare i 27° C, perché ciò potrebbe compromettere la qualità dell’olio. Grazie al mantenimento della temperatura avviene il passaggio dalla fase solida alla fase liquida dell’olio, che è quindi estratto attraverso la spremitura a freddo, che permette di conservare meglio gli antiossidanti presenti nelle olive. Gli oli che non superano i 27° C, quindi, sono ricchi di polifenoli, antiossidanti e vitamina E; vanno conservati e mantenuti sempre a questa temperatura.
Le partite di olio vengono selezionate all’ingresso e lavorate entro brevissimo tempo; ogni cliente si porta a a casa l’olio prodotto dalle proprie olive. Le olive vengono pesate, lavate in acqua potabile e defogliate, quindi vengono rotte (è la fase di molitura) attraverso un macchinario chiamato finitore (che sostituisce le molazze, le grandi pietre dei tempi antichi), con un motore che raggiunge i 1800 giri al minuto. Questa griglia grande produce una rottura più grossolana; successivamente, le olive vengono spostate su di una griglia più piccola, con delle lame rotanti, per una rottura più delicata. Questo è il miglior sistema di lavorazione. Infine, viene rotto il nocciolo.
Si passa poi alla fase di gramolazione: la gramola è una vasca al cui interno circola acqua calda, per mantenere a temperatura costante l’acqua delle olive (altrimenti avviene la separazione della parte acquosa dalla parte oleosa). Queste vasche hanno lame che fanno ruotare la pasta delle olive e che reintegrano ad essa le particelle di olive che sono schizzate via durante la molitura.
Successivamente, si estrae l’olio con la tecnica della centrifugazione, attraverso un macchinario, il Leopard, che ruota in senso verticale. L’olio in uscita viene poi di nuovo centrifugato in un separatore per togliere le particelle di acqua rimaste.
Come nel caso del maiale, anche dell’oliva non si butta via nulla: i prodotti di scarto hanno tutti una destinazione ausiliaria. L’acqua eliminata viene unita a delle polveri sottili (polpa di oliva macinata finissima) ed il “patè” che si forma viene utilizzato come ammentante, ossia come concime per arricchire i terreni di sostanze nutritive; il nocciolo tolto dalla sansa viene recuperato ed utilizzato come combustibile, perché ha un elevato potere calorico; la sansa, la polpa vera e propria, viene invece portata ad Agropoli dove viene prodotto del biogas che alimenta una centrale elettrica.
Le tre varietà di olive presenti il Cilento sono la salella, più adatta ai climi aridi e alla siccità (quindi si coltiva sui terreni più vicini al mare), la rotondella e la coratina (nera).
La varietà delle olive utilizzate per produrre l’olio è fondamentale perché da essa (dal suo adattamento al territorio) dipende la qualità dell’olio. In Cilento le olive sono ricche di antiossidanti; le stesse varietà di olive, coltivate in altre zone e quindi su terreni diversi, sono meno ricche.
Se da ottime olive è possibile ottenere un pessimo olio, di sicuro da olive pessime non si potrà mai ottenere un buon olio. Un buon olio è riconoscibile già dal profumo; oltre ad esso, altre caratteristiche importanti sono l’amarezza (data da olive raccolte più acerbe) e la piccantezza. Un buon olio deve essere profumato, amaro e piccante, anche se spesso queste ultime due caratteristiche sono scambiate per qualità negative.
Il frantoio commercializza olio con marchio proprio, della cooperativa, fin dal 1991: il marchio di allora era il “Cilento Verde”. Dal 1994, poi, il frantoio ha iniziato anche a lavorare con aziende biologiche e nel 1997 la zona ha ottenuto la DOP Cilento. Oggi, i marchi commercializzati sono tre: Terre del Casale, Terre dei Monaci (per la DOP Cilento), Terre Antiche (per il biologico).
Nel 2000 la cooperativa ha trasformato l’ambiente adibito all’imbottigliamento in laboratorio di ricerca gastronomica, Il Frantoio, un ristorante che propone ricette della cucina tipica del Cilento antico dove chiunque può degustare ed acquistare i prodotti oleari della cooperativa. E qui ci attende il nostro ultimo pasto a base di prodotti tipici di queste splendide terre…
Si inizia con una patata cotta nella cenere, in ricordo dei pranzi dei braccianti, sulla quale si versa l’olio puro per degustarlo al meglio. L’antipasto comprende melanzane a barchetta ripiene, soprpressata, zeppole e formaggi; continuiamo con delle favolose làgane (maltagliati più spessi) con i ceci e con delle cortecce (un tipo di pasta) con baccalà e zucchine.
Ed arriva il momento dei saluti. C’è tempo solo per un’ultima, rapidissima fermata al Caseificio Il Granato, a Spinazzo, nel comune di Capaccio: la famiglia Leone ha fatto mettere da parte per noi qualche prezioso bocconcino di mozzarella di bufala.
Lasciamo questa terra, il Cilento, che in tre giorni ci ha dato tanto, tantissimo, si è svelata a noi, ai nostri smartphone e alle nostre reflex per far sì che diffondessimo, per quanto possibile, la cultura enogastronomica e la ricchezza territoriale di questo piccolo paradiso poco noto al di fuori della Campania, che custodisce le radici della dieta mediterranea. Spero davvero che da questo mio racconto possa trasparire tutta la riconoscenza nei confronti di chi ci ha accolte, coccolate e fatte sentire regine (Hotel La Playa, Dieta del Cilento, Associazione Terra Mia e tutti coloro che si sono prodigati per farci vivere un’esperienza unica), nonché di AIFB, che ha reso possibile tutto ciò. Grazie!
[…] io ricordo però di aver mangiato uno strepitoso piatto di lagane e ceci in Cilento, durante il mio blogtour AIFB, che non ne prevedeva la presenza, ed ho optato per questa versione bianca che da tempo volevo […]