«Il trippaio è davanti al suo carretto: fuma nella vaschetta il lampredotto appena bollito; gli si affollano attorno i garzoni del Quartiere col pane croccante tra le mani, per la prima colazione…». (Vasco Pratolini, “II Quartiere”, 1943)
Oggi il Calendario del Cibo Italiano celebra il Panino col Lampredotto, e sarà Gaia Innocenti del blog Profumo di Mamma a parlarcene nel suo post ufficiale. Non vado matta, ammetto, per questa specialità fiorentina di cui Vasco Pratolini racconta nel suo famoso romanzo… Non è dello stesso avviso il mio ciclista, che però ha sempre rispettato la mia avversione verso il quinto quarto in generale accettando di gustare trippe, fegati, cervelli e quant’altro solo ed esclusivamente dalla mamma sua… O in quel di Firenze. La “colpa” di questo post, però, è tutta mia: non avessi lasciato in giro tutti i miei fogli e i miei appunti sul Calendario, probabilmente lui non avrebbe mai saputo che era prevista anche la festa del suo amato Panino col Lampredotto (e Salsa Verde). E invece…
E invece eccoci qui con il pentolone che bolle: parlo in prima persona plurale non in preda ad un improvviso bisogno di utilizzare il plurale maiestatis, ma perchè per la prima volta in quasi 9 anni di blog questo è un post frutto del lavoro di quattro mani (e le sue, tra l’altro, si vedono benissimo) anzichè due. Lui si è occupato del lampredotto, io del brodo e della salsa verde; lui ha “posato” per me ed ha mangiato, io ho scritto e fotografato.
A Firenze, due soltanto sono le cose che mettono tutti d’accordo: la Viola e il panino con il lampredotto. Se Dante avesse scritto la “Vita Nova” giusto un paio di secoli più avanti, probabilmente avrebbe dedicato il verso «’ntender no la può chi no la prova» non a Beatrice, ma a questo succulento emblema della cucina povera di Firenze: il panino col lampredotto. E se non sapete cos’è, non ditelo ai fiorentini: ne andrebbero quasi fieri, considerando sì la vostra ignoranza un delitto, ma godendone sotto sotto… Perché il lampredotto è un segreto antico, una prerogativa molto poco turistica e tutta fiorentina (non cercatelo fuori dai confini della città, non ne trovereste traccia), che ha con la città un legame profondo e viscerale.
Il lampredotto è un piatto tipico della cucina di strada fiorentina, insieme con la trippa. Si tratta in realtà di un particolare tipo di trippa: con la parola “trippa”, infatti, si identifica a Firenze tutto l’apparato digerente del bovino, composto dall’esofago, dai tre prestomaci (rumine, reticolo, omaso) e dal quarto stomaco, quello ghiandolare vero e proprio, l’abomaso. Quest’ultima parte è quella utilizzata per cucinare il cosiddetto “lampredotto”, ed è composta a sua volta da due parti: la spannocchia, di colore chiaro e dall’aspetto gelatinoso, che è la parte più grassa ed ha un sapore più delicato, e la gala, di colore violaceo, dall’aspetto increspato, che è più magra ma ha un sapore più deciso. Trippa e lampredotto sono oggi inseriti nella lista dei PAT della regione Toscana.
Il termine “lampredotto” deriva dalla lampreda, un pesce pregiato una volta abbondantissimo nell’Arno e appannaggio dei ricchi, una sorta di grossa anguilla con una grande bocca a ventosa e corrugata che ricordava la carne del lampredotto.
Le origini del lampredotto risalgono al Medioevo, quando si diffusero a Firenze le botteghe dei trippai e dei lampredottai, artigiani specializzati nel lavorare le interiora del bovino: pulirle, trattarle e cucinarle era (ed è ancora oggi) infatti una vera e propria arte. Il quartiere antico di San Frediano era la patria della lavorazione delle trippe: queste venivano messe a bollire in enormi caldaie a legna, quindi appese a lunghe file di ganci, ripulite dalle scorie e ribollite per essere finalmente pronte all’uso. L’acqua di cottura era il famoso brodo di trippa di San Frediano che quasi tutti gli artigiani, alle cinque del pomeriggio, acquistavano mandando il ragazzo di bottega con il fiasco.
Ben presto le strade dell’intera città si riempirono di carretti, baracchini e chioschi ambulanti su quattro ruote che davano colore e sapore ai quartieri di Firenze, vendendo ai passanti il panino con la trippa e col lampredotto e trascinando con sé la “materia prima” appesa a un tronco di legno. E guai a chiamarli “paninari”: il trippaio e il lampredottaio, a differenza di quest’ultimi, cucinano!

Per questo collage ringrazio la pagina Facebook “iLampredotto”, da cui ho prelevato le foto
Diversamente da molti piatti della cucina povera e popolare del nostro Paese, però, questa preparazione non ha origini contadine: da sempre, il lampredotto è il cibo (spesso la colazione) dei carrettieri, degli scaricatori dei mercati, degli operai e dei manovali. Un piatto che con i suoi sentori antichi, genuini e identitari – impossibile, se ancora non l’aveste capito, trovarlo fuori Firenze – ha dato origine fin da quegli anni ad una rudimentale forma di street food e fast food ante litteram che è diventata col tempo una vera e propria istituzione radicata, un rito popolare, tanto da erigersi a baluardo della tradizione popolare fiorentina: tra antichi palazzi, vicoli storici e grandi opere d’arte, ancora oggi nel centro di Firenze sono molti i chioschi che offrono trippa e lampredotto, servendo di solito la prima nel piatto e il secondo nel classico panino, anche se i carrettini di legno montati sul triciclo sono stati col tempo sostituiti da furgoni moderni in regola con le norme igieniche. E se alcuni di loro sono organizzati con degli sgabelli, l’invito verrà spontaneo: “Seggiola’evi, che poi si strippa!” (“Sedetevi, che si mangia la trippa!”).
Senza soffermarsi su quale sia il trippaio più buono di Firenze e dintorni (non chiedetelo ai fiorentini o ne nasceranno discussioni e zuffe: vi diranno di andare da quello in Piazza Sant’Ambrogio, anzi no al Porcellino, o forse in San Lorenzo; qualcuno vi nominerà quello di Piazza Dalmazia, di Ponte di Mezzo o di Via de’ Neri; altri vi manderanno in Via Gioberti, al Duomo, alle Cure), quel che è certo è che trippa e lampredotto si mangiano in piedi (o al massimo appoggiati su uno sgabello), come impone la tradizione dello street food, proprio davanti al baracchino, magari accompagnati da un buon bicchiere di rosso o da una birra fresca. I chioschi sono dislocati un po’ in tutta Firenze: per trovarli basterà farsi guidare dal profumo!
Mentre la trippa è solitamente cucinata al pomodoro e insaporita all’ultimo con parmigiano grattugiato, il lampredotto è semplicemente bollito: l’abomaso viene svuotato, centrifugato e lessato per circa tre ore, quindi sgrassato a mano con spazzole speciali; a questo punto è pronto per essere nuovamente bollito per circa un’ora in un brodo con odori. I barrocciai tengono il lampredotto immerso in grossi pentoloni di questo brodo profumato fino a quando il cliente non ordina il panino: solo in quel momento la carne viene tirata fuori e tagliuzzata in piccoli pezzi, per essere poi salata, pepata ed inserita nel panino preventivamente aperto a metà e “svuotato” della mollica.
Il pane non è scelto a caso: si tratta del “semelle”, un panino toscano non salato tipo rosetta (dal tedesco “semmel”, ossia piccolo pane morbido, anche se secondo alcuni questo pane si chiama così poiché ricorda la forma di un seme) dall’impasto classico a base di farina di grano tenero, acqua, sale e lievito – lo stesso impasto del cazzottino, dello stinco o della ciabatta, che cambiano nome solo in base alla forma.
Una volta inserito nel panino, il lampredotto può essere condito semplicemente con sale e pepe, con la classica salsa verde o con l’olio piccante; alcuni lampredottai preparano anche la versione “in zimino”. Alla domanda di rito del trippaio “lo vuole bagnato?” rispondete di sì: questi tufferà cosi nel pentolone di brodo l’interno della parte superiore del panino, che così imbevuto vi sarà servito gustoso e gocciolante!
Per avere un’idea, vi consiglio di guardare questo brevissimo video che è stato girato presso uno dei più noti lampredottai di Firenze… 😉
N.B.: Il lampredotto che si trova in commercio è già prebollito, pulito e sgrassato.
- 1 kg di lampredotto intero, già lessato e pulito (io ho usato due abomasi)
- 2 pomodori
- 3 carote
- 2 cipolle
- 4 coste di sedano
- 1 mazzo di prezzemolo
- 1 mazzo di basilico
- sale
- pepe
- 2 tuorli d’uovo (sodi)
- 50 g di mollica di pane (potete svuotare preventivamente i panini)
- 100 g di prezzemolo
- 40 g di capperi
- 1 spicchio d’aglio
- ¼ di limone (scorza)
- 6 filetti d’acciuga sott’olio
- 5 cucchiai di olio extravergine di oliva
- sale
- pepe
- 4 panini a rosetta (di grano tenero, belli rotondi, morbidi dentro e croccanti fuori)
- Ponete sul fuoco una pentola con 3 litri d’acqua ed immergetevi i pomodori lavati, le carote e le cipolle sbucciate e tagliate a pezzi grossolani, le coste di sedano pulite, il prezzemolo, il basilico e due generosi pizzichi di sale; portate a bollore e dopo 10 minuti immergetevi il lampredotto intero, lasciando sobbollire a fuoco dolce, coperto, per circa 60 minuti da quando il brodo riprende il bollore.
- Nel frattempo, preparate la salsa verde: fate rassodare le uova e, una volta tiepide, sbucciatele ed eliminate l’albume. Prelevate un mestolo di brodo di cottura del lampredotto ed ammollatevi la mollica di pane (vi conviene aprire due delle rosette che farcirete con il lampredotto e prelevare poca mollica della calotta inferiore e un pochino di più da quella superiore) per circa 10 minuti. A questo punto tritate nel mixer i tuorli sodi, il pane (che avrà assorbito il brodo), il prezzemolo, i capperi, lo spicchio d’aglio sbucciato, la scorza di limone a pezzetti e i filetti d’acciuga; completate versando l’olio a filo e aggiustando di sale e pepe.
- Quando la carne sarà tenera estraetela dal brodo, ponetela su di un vassoio e tagliatela subito con un coltello a piccoli pezzi. Adagiate sui panini già svuotati della mollica una generosa quantità di lampredotto; salate, pepate, immergete la parte interna della calotta superiore del panino nel brodo, condite con la salsa verde (di solito la si mette all’interno della calotta superiore) e chiudete i panini. Gustateli caldi e… Buon appetito!
Un sentito grazie al mio ciclista per essersi prestato, in una calda domenica di fine giugno, a farmi da modello 🙂
Bibliografia:
S. Calamandrei, Sesso Motore 4: assaggi gratis, 2014, Youcanprint
M. Massa, Mi manca Giovenco: manuale teorico-pratico di gastronomia con ricette di cucina classica, regionale e alternativa, 2014, Lulu.com
AA. VV., Pane e Pizza, 2004, Touring Club Editore
R. Roganti, Gnam – Anno 2, 2013, Youcanprint
F. D’Isa – M. Salimbeni, Forse non tutti sanno che a Firenze…, 2015, Newton Compton Editori
M. Ceriani, La nuova era del cibo, 2013, GoWare
C. Natali – D. Macchiavelli, Firenze low cost: guida anticrisi alla città più chic d’Italia, 2014, BUR
C. Cambi, Le ricette d’oro delle migliori osterie e trattorie italiane del Mangiarozzo, 2010, Newton Compton Editori
P. Bigazzi – G. Bigazzi ,365 giorni di buona tavola, 2010, Giunti Editore
R. Tersilla, 2014, Cucine di strada, Edizioni Estemporanee
AA. VV., L’Italia del Gambero Rosso: Toscana, 2007, Edizione speciale per Il Sole 24 Ore
www.lampredotto.net
http://www.cibo360.it/
http://www.ilgiornaledelcibo.it/
http://www.cibodistrada.it/
Grande Sara (e ciclista) e grazie per il tuo prezioso contributo!
La prossima volta, però, l’ambasciatrice la fai te: ti viene decisamente meglio che a me!
🙂
Ahahha Gaia, sei stata un’ottima ambasciatrice dai! A me impauriva il pane ca’ meusa, col senno di poi… Ma va bene così! Io l’ho preparato perla primissima volta e ho fatto contento il mio ciclista perchè non lo amo, ammetto! 🙂
Grazie mille a te! :*
Splendido sara il tuo panino, non l’ho mai provato ma dovrò sicuramente rimediare..magari passando dalle tue parti al più presto!
Se sei amante del genere Enrica, non esiste visitare Firenze senza mangiare il panino col lampredotto! Io purtroppo non lo amo… Ma la tradizione è antica ed affascinante e ne ho parlato veramente con grande passione. Sarà la scusa per venite in Toscana dai! 😉 Un bacione e grazie!