Alla Stazione Leopolda di Firenze, l’8, il 9 e il 10 novembre sono stati tre giorni intensi per il mondo della ristorazione: tre giorni di convegni, incontri e cooking show con protagonisti il cibo, il vino ed i cocktail all’interno di un evento patrocinato dal MIPAAF (Ministero delle Politiche Agricole Alimentare e Forestali), dalla Confalgricoltura, dalla Regione Toscana e dal Comune di Firenze. Dietro ai fornelli si sono alternati decine di famosi cuochi, tra cui diversi che hanno ottenuto riconoscimenti internazionali, come Filippo La Mantia, Claudio Sadler, Igles Corelli, Mauro Uliassi, Niko Romito e molti altri ancora. L’occasione è stato il Congresso della FIC (Federazione Italiana Cuochi), che ha promosso l’evento assieme ad AIS (Associazione Italiana Sommelier) Toscana, Unione Regionale Cuochi Toscani, Mercato Centrale di Firenze e IBS (Italian Barman Style). Oltre al cibo ed agli espositori dei prodotti tipici del nostro territorio, anche il vino è stato assoluto protagonista, con oltre 150 aziende vinicole e 200 sommelier presenti. Inoltre ci sono stati dibattiti, interventi e molti altri momenti per conoscere e scoprire sia i protagonisti della ristorazione sia i prodotti che hanno reso e rendono famosa l’Italia nel mondo.
Gli obiettivi di questa tre-giorni di lavoro sono le tre V: Valori (sociali, da parte del cuoco verso il consumatore ed il produttore di materie prime), Vantaggi (economici, per tutta la filiera a partire dalla sfera agroalimentare) e Visioni (che ogni giorno stimolano la creatività e la professionalità dei cuochi); il “cuoco 3.0” è un titolo provocatorio che esorta il mondo dell’enogastronomia a spogliarsi dei “lustrini” che oggi offuscano l’importanza e la complessità del mondo della ristorazione: 3.0 come un futuro che guarda al passato, alle origini, al territorio della tradizione che va riscoperto, rivalutato e rivalorizzato.
Sono stata presente nella giornata di lunedì 9 novembre, e grazie ad AIFB ed alla sua collaborazione con la FIC ho avuto l’opportunità di conoscere da vicino, per quanto possibile, la complessa realtà della ristorazione ed il suo rapporto con il consumatore.
La mia mattinata è iniziata assistendo al Cooking Show di Mauro Uliassi, due stelle Michelin, chef del Ristorante Senigallia, nelle Marche, che porta a spasso la sua cucina itinerante attraverso l’Uliassi Street Good, dietro al quale c’è tutta la filosofia culinaria di uno degli chef più rinomati della gastronomia italiana: da una parte l’amore per l’alta cucina, dall’altra il genio di reinventarla in pieno stile street food. Qui, ricette classiche dello street food, poco costose e tradizionali, vengono rivisitate in chiave gourmet: un cibo di qualità spogliato di tutte le sovrastrutture del servizio, ridotto soltanto a cibo da tenere in mano, pronto per soddisfare la fame di qualunque passante. Assaporiamo un panino con la porchetta a dir poco divino: pane cotto a legna (molto fragrante) aromatizzato ed impreziosito con lardo e aromi, carne di maiale cotta a bassa temperatura assieme a rosmarino e finocchietto, cotenna bollita, essiccata e fritta… Mai sentito un panino con la porchetta così gustoso!
Successivamente, ho voluto partecipare al talk Show: “L’informazione è un ingrediente da maneggiare con cura”, in cui sono intervenuti Marzia Morganti Tempestini, giornalista e direttore della rivista Sommelier Toscana, Stefano Tesi, giornalista e presidente ASET (Associazione Stampa Enogastroagroalimentare Italiana), Paolo Teverini, chef del ristorante Paolo Teverini a Bagno di Romagna (FC) e Nicoletta Polliotto, blogger (Comunicazione nella Ristorazione), consulente e docente di web e social media marketing. Alla domanda “blogger e giornalisti possono convivere?”, gli interlocutori concordavano sul fatto che il giornalismo su carta stampata non debba escludere il web: fonti di informazione credibili e veritiere possono convivere tranquillamente, dando un più forte contributo di verità, concretezza di storia e di cultura al mondo del food. Sono dei canali diversi, che offrono opportunità e sistemi di fruizione differenti, ma l’uno non esclude l’altro: la commistione dei due strumenti potrebbe anzi rafforzare la nostra comunicazione. Ovviamente, la serietà e la veridicità delle fonti di informazione è fondamentale in entrambi i casi: le notizie riportate devono essere verificate, ma questo vale sia per i giornalisti professionisti che per i blogger. Un giornalista ha un’etica professionale che gli impone di verificare la veridicità delle fonti di cui usufruisce per fornire le notizie, un blogger si avvale invece solo della sua etica personale, ma ha il dovere di seguire le stesse dinamiche: analisi della fonte, comparazione dei dati, verifica sono compiti che spettano sia ai giornalisti che ai foodblogger. Individuare, soprattutto on line, notizie veritiere, è molto difficile e lo sappiamo bene, ma ciò non significa che anche sul web non ci sia professionalità. Esattamente come il giornalista, anche il blogger è tenuto a rispettare regole che riguardano la privacy, il copyright etc. Le regole nel web ci sono: occorre comprenderle, capirle e rispettarle. L’informazione è da maneggiare con cura, quindi, soprattutto nei riguardi del nostro lettore: tutto dipende dalla nostra serietà professionale. Credibilità ed autorevolezza sono le uniche armi di cui un blogger, che non fa parte di un ordine deontologico regolamentato come quello dei giornalisti, può avvalersi per fare informazione; ma ciò non significa che un blogger non sia un professionista, che lavora con attenzione e scrupolo. La speranza è quella che ci sia, prima o poi, un sistema di controllo autentico anche per i blogger, regolamentato in modo autonomo. Già l’AIFB è un inizio, un punto di partenza importante per la professionalizzazione di questo mondo, essendo stata creata con la finalità di avere una sorta di “statuto”. Il nostro mondo, quello dei blogger, è un sistema in crescita, in divenire, che si spera possa arrivare ad avvalersi di un disciplinare, un codice etico vero e proprio al quale chi scrive sul web dovrà rispondere. Se chi scrive sulla carta stampata si auspica la stessa cosa per motivi diversi, io (e credo di poter parlare anche a nome di altri colleghi e colleghe) spero che ciò si verifichi davvero affinché anche la nostra professione (perché di professione si tratta) sia finalmente regolamentata a tutti gli effetti.
Dopo uno splendido pranzo a buffet in cui vengono serviti piatti e prodotti provenienti da tutte le regioni d’Italia, in un tripudio di gusto e tradizione culinaria senza eguali, io ed i miei colleghi che con me hanno trascorso questa giornata (Cecilia, Aurelia e Fabio) abbiamo seguito un minicorso promosso da AIS Toscana tenuto da Paolo Bini (sommelier, relatore e winespeaker), “Imparare a degustare il vino”, per avere una conoscenza di base del vino in tutti i suoi aspetti, partendo da concetti essenziali quali l’aspetto visivo, quello sensoriale ed infine quello gusto-olfattivo.
Il primo passo da intraprendere per degustare un vino è l’esame visivo: di un vino versato nel calice vanno osservati il colore, la limpidezza e la consistenza. Un vino più maturo, ad esempio, tenderà a perdere luminosità e a scaricare leggermente la sua colorazione. Il colore ci dà informazioni sulla tipologia del vitigno (ci sono uve che colorano più di altre, soprattutto nei vini rossi) e sullo stato evolutivo del vino: più un vino sta in bottiglia, più vira verso tonalità più scure, dal paglierino al dorato-ambrato se è un vino bianco, da un purpureo ad un rubino-granato se è un vino rosso. Qui, va aperta una parentesi: ogni vino ha il suo percorso evolutivo (dalla gioventù, alla maturità fino all’anzianità); in base alla tipologia di vino, ci sono vini che riescono a percorrere questa parabola in 5 anni (come un Trebbiano), vini che la percorrono in 15 anni e vini che la percorrono in 60 anni (i grandissimi vini, come il Barolo, il Brunello di Montalcino, i grandi Bordeaux). Quindi, bisogna sfatare il mito che qualsiasi vino più invecchia più diventa buono.
Il secondo step è l’esame olfattivo, quello più interessante: si annusa il vino e si cerca di percepirne intensità, complessità e qualità. Il profumo è la parte più interessante dell’esame di un vino, anche se servono molti anni di esperienza per effettuare un corretto esame olfattivo e, ovviamente, resta il fatto che ognuno riconosce i profumi che conosce. I profumi aumentano quando il vino viene servito ad una temperatura non troppo bassa. Un’altra delle caratteristiche che si percepiscono all’olfatto è la mineralità, che è data dalle sostanze minerali che la pianta della vite, attraverso le sue radici, assorbe dal terreno nel quale viene coltivata, trasmettendole poi al vino; per profumi minerali si intendono quelli ferrosi, calcarei, sulfurei, di gesso, di pietra bagnata, di petrolio.
L’ultimo passo per degustare un vino è l’esame gusto-olfattivo, che si effettua attraverso l’assaggio: dapprima di “avvina” il palato (lo si abitua al vino, facendo ruotare il vino all’interno della cavità orale) con un piccolo sorso, quindi si procede alla degustazione vera e propria apprezzando struttura, equilibrio e persistenza del prodotto. Il gusto ci dà la sensazione di piacevolezza, morbidezza, durezza, secchezza o dolcezza, amabilità, alcolicità e sapidità (che si determina quando la salivazione aumenta): queste sono le caratteristiche che chi degusta percepisce in un vino. Gli aspetti fondamentali che determinano la grandezza di un vino e che si percepiscono al gusto sono la persistenza all’interno della cavità orale ed il perfetto equilibrio tra l’acidità e il tannino: l’acidità, che in gergo si definisce “freschezza”, è determinata da un ph basso, ed è una delle componenti che dà longevità al vino; essa fa parte del DNA dell’uva, anche se ogni uva, maturando, tende a perderne, e sta quindi all’agronomo decidere di vendemmiare quando l’equilibrio tra acidi e zuccheri è ottimale, per produrre un vino che non sia troppo acido ma che non sia neanche troppo poco strutturato. Il tannino è invece l’astringenza, che si ritrova principalmente nei vini rossi.
Quanto all’abbinamento, se si punta sul colore non si sbaglia quasi mai: è una linea forse un pochino troppo semplicistica, ma in fondo “colore chiama colore” e quindi un vino bianco si abbina bene a del pesce o a della carne bianca, mentre un vino rosso si sposa bene con carne rossa e sughi a base di pomodoro. Ci sono però dei casi in cui questo non è del tutto vero: un prosciutto toscano, ad esempio, non si abbina mai con un rosso, essendo un salume non molto grasso e particolarmente delicato, a differenza ad esempio di una salsiccia di cinghiale, che richiede invece un vino più strutturato.
Ma per imparare la teoria, il miglior modo è farlo attraverso la pratica: impariamo a degustare il vino, quindi, assaggiando 4 vini selezionati dal nostro sommelier AIS.
Il primo vino che degustiamo è uno spumante brut millesimato prodotto con uve Trebbiano, una tra le più coltivate in Italia, dall’azienda Baracchi di Cortona (AR). Questo vino, essendo spumante, è favorito nella percezione dei profumi dalla spuma stessa: vi si ritrovano fiori freschi di acacia e frutta fresca come pesca bianca e ananas. All’assaggio, una volta avvinato il palato, si sente che si tratta di una bollicina ben fatta: per capire quando il perlage (le bollicine) di uno spumante è ben fatto, le bollicine in bocca non devono graffiare né essere invadenti, ma devono essere quasi cremose, vellutate. Inoltre, si tratta di un vino spumante il cui gusto è molto persistente al palato. Questo vino è particolarmente sapido, ricco quindi di sali minerali; nel complesso, è un vino molto piacevole. Si abbina bene con risotti di verdure e formaggi morbidi, poiché la bollicina “sgrassa” e quindi si sposa con alimenti cremosi e mantecati.
Il secondo vino che andiamo ad assaggiare è Lazarus, un vino bianco prodotto all’Isola D’Elba (LI) dall’azienda Valle di Lazzaro, con uve Ansonica, famose soprattutto nell’Italia tirrenica (in Sicilia è nota come Inzòlia). Il colore è un giallo paglierino; all’olfatto, l’impatto è molto floreale e fruttato. Sollecitando il vino (leggermente: i grandi vini non amano essere agitati troppo), il profumo floreale aumenta ed avvolge il naso, ma si percepisce anche una profumazione minerale. All’assaggio, una volta avvinato il palato, questo vino è fruttato come nella profumazione, ma essendo molto giovane si percepisce un sapore leggermente acre e acidulo, ciò che si definisce “freschezza” in un vino: questo vino ricorda al palato gli agrumi meno dolci, come il lime, il cedro e il limone. In sostanza, si tratta di un vino da un buon corpo, ma anche molto fresco, ossia acido. Si abbina bene su carni bianche delicate come il coniglio, su del pescato o su delle verdure, la cui tendenza dolce si abbina benissimo ad un vino acido come questo.
Il terzo vino che assaggiamo è un rosato della Fattoria Sardi, della provincia di Lucca. Il rosato è un vino che ad oggi sta ritrovando una sua collocazione sul mercato poiché si sta riscoprendo una sua dignità nell’abbinamento, a discapito di quanto si è sempre creduto. I rosati si producono attraverso una breve macerazione sulle bucce (bucce che invece, per produrre un bianco, vengono tolte dal mosto quando l’uva viene messa nei tini): in questo modo il mosto acquisisce una lieve colorazione rosata, ma la sua produzione è, per il resto, molto simile a quella del bianco. Il colore di questo vino è molto luminoso, la profumazione è fresca e fruttata (note di frutti rossi, come ribes e fragola), con dei sentori aromatici e fioriti. All’assaggio, dopo aver avvinato il palato, si capisce che anche questo è un vino giovane, dal gusto fruttato e lievemente agrumato, anche se dolciastro (con sentori di arancia e mandarino); il gusto è prolungato e ci comunica quanto questo vino sia ben bilanciato, invitante e piacevole. Si abbina bene a del pesce grasso come il salmone, anche crudo, arricchito con delle erbette aromatiche come timo e con dei pomodorini cotti, ma anche a dei salumi non eccessivamente grassi e più delicati, come un prosciutto toscano.
Il quarto ed ultimo vino del nostro percorso degustativo è un Morellino di Scansano delle Moris Farms, cantine di Massa Marittima (GR). Il suo colore è deciso, intenso, un rosso rubino “pieno”; il suo profumo è fruttato, ma è una frutta diversa: si percepiscono amarena e gelso, con delle note balsamiche di mirto e di eucalipto. Girando delicatamente il bicchiere, si percepiscono note di tabacco, note minerali ferrose e sentori legnosi e speziati che ricordano lievemente la cannella. Assaggiandolo, dopo aver avvinato il palato, si percepisce il tannino, che dà astringenza, ossia blocca la salivazione poiché frena l’acidità; il tannino, inoltre, dona una nota amaricante al gusto del vino, “annientando” il sentore di frutta che si percepiva all’olfatto: questo accade poiché si tratta di un vino giovane (lo stesso vino, tra qualche anno, assumerà un maggior equilibrio poiché avrà perso un po’ di tannino). Questo vino ha un ottimo corpo e un’ottima struttura, è un vino “potente” pur essendo giovane. Può essere abbinato con una carne di manzo anche speziata ma sicuramente oleata, come uno stufato, poiché l’effetto del tannino, essendo in questo momento preminente, va a controbilanciare l’untuosità del piatto.
Sempre in tema vino, continuiamo la nostra avventura attraverso un Wine Tour alla scoperta delle eccellenze vitivinicole toscane: Paolo resta con noi e ci guida all’interno di un percorso sensoriale a tema “la Francia in Toscana”: uvaggi francesi in territori toscani.
Il primo produttore che incontriamo nel nostro wine tour è Arrighi, dell’Isola D’Elba. Antonio ci racconta che l’Elba è uno dei primi quattro produttori di vino a livello toscano, un’attività che ha conosciuto un momento di crisi in passato ma che poi è riuscita a ripartire, dagli anni ’80, in termini non di quantità, ma di qualità. L’Elba ha un terreno minerale (ha oltre 200 tipologie di minerali), quindi a seconda della zona in cui viene coltivata, cambia radicalmente il gusto della stessa uva. La zona di produzione di Arrighi è di tipo argillo-ferrosa. L’azienda, che esiste da generazioni, ha due linee di vini: i vini da vitigni autoctoni (aleatico, sangiovese, ansonica, trebbiano e vermentino) ed i vini sperimentali. Questa sperimentazione è iniziata nel 2000, con uve francesi. Quello che noi assaggiamo è il VIP (acronimo di “Viogner In Purezza”): il Viogner è un vitigno dell’alta valle del Rodano, sotto Lione, che non è molto conosciuto in Italia. Si tratta di un’uva semiaromatica, che si adatta bene al territorio elbano. Il Viogner è un vino bianco che ha un colore chiaro ma bello intenso, tipico di tutti i vini isolani; con il sole dell’Elba, il Viogner tira fuori note fruttate di albicocca, frutto della passione, pesca bianca ed ananas; la profumazione è molto fresca. All’assaggio il Viogner non è un’uva corposa, ma ha comunque carattere ed energia e il gusto è prolungato all’interno del palato: la persistenza è un valore aggiunto di un vino, e questo, nonostante sia molto fresco, ne ha da vendere!
Il secondo produttore che andiamo a conoscere è l’azienda Dal Cero di Cortona, in provincia di Arezzo. Assaggiamo un Sirah in purezza, Klanis, un vino rosso di grande personalità e con un bouquet molto strutturato. Il Sirah è un’uva autoctona del Sud della Francia, che ben si esprime nei terreni aretini; l’azienda ha piantato i primi vigneti nel 1980 ed ha attualmente ben 60 ettari di terreno coltivati con queste uve. In particolare, le uve Sirah utilizzate per la produzione del Klanis sono ad alberello, una forma di allevamento di vite tipica della tradizione vitivinicola delle zone mediterranee caratterizzata da uno sviluppo contenuto della pianta e da un limitato carico di gemme: piante piccole che danno però grandissimi risultati. SI tratta di piante lavorate nel modo più naturale possibile: addirittura, esse vengono trattate con infusi di camomilla e di ortica per aumentare la loro autodifesa. Il Klanis è un Sirah di grande estrazione: il colore è molto intenso, il profumo è fruttato di mora, mirtillo e di viola; muovendo il bicchiere, si percepiscono note speziate di pepe e chiodi di garofano, oltre ad un sentore legnoso. Al gusto, il sentore fruttato scompare, per lasciare spazio ad acidità e tannino, caratteristiche tipiche di un grande Sirah giovane, che danno luogo ad un gusto ricco ed importante.
Il terzo produttore che andiamo ad incontrare è Pratesi, di Carmignano, in Provincia di Prato. Qui, la protagonista è l’uva Francesca (da “francese”), presente nel territorio fin dal 1700: nel 1716, infatti, Caterina de’ Medici, sorella di Cosimo de’ Medici, che andò in sposa al Re di Francia, portò nella zona quest’uva, che poi è diventata nota con la dicitura Cabernet. Noi degustiamo un taglio bordolese (ossia che comprende uve Cabernet Sauvignon, uve Merlot e uve Cabernet Franc), che riprende cioè la zona della citta di Bordeaux: si tratta del Carmione, un vino rosso molto elegante che contiene appunto 50% uve Cabernet Sauvignon, 40% uve Merlot e 10% uve Cabernet Franc, di annata 2012, con due anni di barrique ed un anno di affinamento in bottiglia. E’ un vino abbastanza giovane, ma essendo un grande vino è già buonissimo! Si tratta di un vino intenso, di grande pigmentazione; all’olfatto è molto fruttato, balsamico, con sentori di mentolo, mirto e macchia mediterranea, mentre al gusto appare strutturato, con sentore di amarena: qui il fruttato ha più resistenza e il retrogusto amaro compare con meno prepotenza del precedente vino degustato.
Il quarto ed ultimo produttore che conosciamo è Castello di Bolgheri, a Bolgheri appunto, in provincia di Livorno. La geniale intuizione del produttore è stata quella di importare uve Cabernet Sauvignon e Merlot in una zona nella quale il Sangiovese, uva tipica della Toscana, non riusciva a crescere bene, mentre i vigneti francesi si esprimono decisamente meglio. Degustiamo il Castello di Bolgheri Superiore, un vino rosso giovane 20% Cabernet Sauvignon, 25% Merlot e 25% Cabernet Franc, dal gusto molto piacevole. All’olfatto ha un profumo più dolce ma anche più imponente rispetto al vino precedente; si percepiscono anche note gessose e minerali. Al gusto, questo vino è molto corposo, mentre il tannino resta più dolce e meno amaricante; d’altro canto, si percepisce maggiormente la nota alcolica rispetto al vino precedente. La persistenza del sapore al palato è decisa, ma non invadente.
Degustare vino mi ha risvegliato un certo appetito… E alla fine di una giornata così ricca e costruttiva, ho deciso di regalarmi una vecchia conoscenza già degustata al Taste: Pino, delizioso erborinato caprino dal gusto deciso e persistente prodotto dall’azienda De’ Magi, a Castiglion Fiorentino (AR).
Non c’è che dire: il mondo dell’alimentazione ha risorse infinite, visto dal punto di vista della ristorazione la sua complessità aumenta, ma aumenta anche il suo fascino, la curiosità nei suoi confronti ed il desiderio di scoperta. La fusione tra il mondo del cibo, l’ambito enologico e la sfera della comunicazione è avvenuta in modo perfetto ed equilibrato al Food & Wine in Progress: speriamo sia l’inizio di un intreccio lungo, duraturo e fruttuoso!
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