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Il “Pesce Dimenticato”: la Conservazione delle Sardine nella Friggera di San Vincenzo

23 Luglio 2016 by pixelicious 8 commenti

Nella settimana del pesce azzurro del Calendario del Cibo Italiano, oggi la giornata è dedicata al “pesce dimenticato”, ossia a tutti quei pesci definiti “poveri” perché meno pregiati, ma che nulla hanno da invidiare alle specie più note dal punto di vista del gusto e da quello nutrizionale. Specie come lo sgombro, la palamita, il cefalo, il sugarello, il pesce serra, la lampuga, lo zerro, la sardina e il pesce sciabola, tanto per citarne alcuni, hanno scarso valore per il mercato e per la grande distribuzione, dove i sapori sono ormai standardizzati (basti pensare che solo il 10% delle 700 specie marine commestibili arriva sulle nostre tavole, un po’ per abitudine e un po’ per ignoranza); eppure, essi appartengono ai nostri mari, alla nostra antica tradizione, alla cucina dei nostri nonni, che facevano largo uso di certi pesci considerati “di scarto” ma che non erano – e non sono – certo privi di gusto e di nutrienti.

friggera 1
Io non mi dilungo oltre sull’argomento e lascio che sia il nostro ambasciatore, Juri Badalini del blog Acqua e Menta, a parlarcene nel suo post ufficiale. Il mio contributo, oggi, approfondisce La Conservazione delle Sardine nella Friggera di San Vincenzo, una piccola industria sorta sul finire degli anni ’30 addetta alla preparazione di sardine in scatola, che venivano fritte e conservate nel loro olio di cottura. Un luogo che ha fatto la storia della mia amata città di mare ma che, come il pesce povero, è oggi quasi dimenticato. Come sapete io vado spessissimo a San Vincenzo da sempre, ho la casa lì fin da prima che nascessi, eppure non avevo mai sentito parlare di questo posto fino a che Maurizio Dell’Agnello, giornalista della rivista “Il Pesce”, e Rodolfo Tagliaferri, Presidente del Circolo Fotoamatori di San Vincenzo, non ce ne hanno parlato (con tanto di immagini, video e testimonianze) durante il Blogtour AIFB “Un Mare di Gusto” a cui ho partecipato circa 3 mesi fa!

friggera 2
Fino all’Ottocento, sulle coste di San Vincenzo e dintorni, la pesca in mare era quasi del tutto sconosciuta. Eppure, proprio in questi mari, i genovesi da sempre abili pescatori erano soliti fare grandi carichi di sardine e acciughe, che pescavano con la sciabica (una grande rete a strascico che veniva trainata in mare dalla riva) e che trasformavano attraverso la salagione, per poi venderle lungo tutta la costa. Essendo l’attività molto redditizia, i pescatori cominciarono a salire anche da Gaeta e da Pozzuoli. Fu in quegli anni, agli inizi del ‘900, che il Conte Gaddo Della Gherardesca diede alloggio a queste persone presso uno stabile di allora recente costruzione (la cosiddetta “Casa del Pescatore”), in cambio di una parte del pescato. La sua invenzione fu quella di creare uno stabilimento per la trasformazione e la conservazione di questo pesce (principalmente sardine e acciughe) proprio a Donoratico, paesino a pochi chilometri da San Vincenzo, la cui attività ebbe inizio a partire dal 1928.

friggera 3
Si trattava di una vera e propria industria, la G.I.P.S.A. (Grande Industria Pesca Sardine e Acciughe), dove i pesci venivano lavati in salamoia, asciugati all’aria e fritti, per poi essere venduti in scatole di latta conservati nel loro stesso olio di cottura; lo stabile è ancora visibile, anche se oggi è adibito ad abitazione civile. Pensate: l’attuale proprietario ha rinvenuto, durante dei lavori di giardinaggio, una grandissima quantità di scatolette di latta mai utilizzate ed interrate!
Ma le flotte da pesca si trovavano principalmente a San Vincenzo, e le spese imposte dal trasporto del pescato, nonostante i pochi chilometri che separavano questo paese da Donoratico, erano piuttosto alte; la G.I.P.S.A. divenne col tempo poco competitiva e quasi per niente remunerativa. Fu così che il Conte trasferì la sua industria appena fuori dal paese di San Vincenzo (appena prima dell’attuale sottopassaggio – un tempo passaggio a livello – che segna l’ingresso nel centro del paese), nel 1936: è questo lo stabile, di dimensioni maggiori del precedente, che è conosciuto come la “Friggera” vera e propria.

friggera 4
Negli anni a seguire fu ideato un sistema di lavorazione rivoluzionario che non prevedeva più la frittura: nel nuovo stabilimento, i pesci appena pescati venivano pesati, “scapati” (soltanto le acciughe, però: si diceva infatti che, se si fossero salate senza testa, le sardine “non sarebbero maturate”, mentre per le acciughe quest’operazione si rendeva necessaria per evitare che la carne dell’intero pesce diventasse amara), eviscerati e cotti a vapore in grandi autoclavi contenenti acqua e sale, metodo, questo, che a differenza della frittura consentiva al prodotto di mantenersi integro. Terminata quest’operazione, definita “sciacquatura”, i pesci venivano disposti su di una serie di “graticci” per essere asciugati all’aria, quindi venivano inscatolati e ricoperti di olio di oliva.
Piano piano, tuttavia, le acciughe iniziarono ad essere destinate soltanto al consumo familiare, e il prodotto di punta della Friggera, pertanto, divenne la sardina, la cui pesca era così proficua che lo stabilimento di San Vincenzo non sempre riusciva a coprirla interamente: capitava così che parte del pesce venisse dirottato verso le friggere attive nei paesi vicini, come quella di Cecina o quella, più famosa, di Follonica. Proprio in occasione di certe copiose pescate, avveniva anche che si accettassero soltanto le sardine che per prime venivano portate allo stabilimento, fatto, questo, che scatenava una sorta di gara tra gli equipaggi. Si racconta addirittura di quintali di sardine pescate che, per sovrabbondanza di offerta, non potevano essere lavorate in tempi ragionevoli e che quindi venivano ridisperse in mare!

friggera 5
Una volta resasi conto che il Mar Tirreno offriva prodotti di qualità davvero eccezionale, la famiglia Della Gherardesca iniziò a porre attenzione anche al marketing: il nome riportato sulle scatole di latta, “Dante’s”, è infatti un chiaro riferimento alle note sarde di produzione britannica Nantes. Il packaging iniziò ad essere curato e impreziosito da dettagli, e fu pianificato di offrire una scelta con varie alternative di prodotti differenziati a seconda dei consumatori destinatari: un esempio erano le scatolette destinate a sfamare l’esercito durante la Seconda Guerra Mondiale.
Le sardine inscatolate a San Vincenzo erano molto apprezzate sul mercato, e la Friggera era una vera e propria risorsa che offriva lavoro a tantissimi abitanti del paese, donne comprese; nei periodi di maggiore produzione il lavoro era “a chiamata” e, attraverso un passaparola organizzato in paese, quasi tutti avevano la possibilità di guadagnare qualche soldo grazie alla lavorazione delle sardine. I meno fortunati lavoravano in quello che era chiamato “inferno”, un locale adibito alla macerazione degli scarti e delle teste delle sardine, con i quali si creava ottimo concime per i campi dell’entroterra: del pesce non si buttava via nulla.

friggera 6
Quando però nel 1945 ci fu il passaggio del fronte, la fabbrica fu smantellata dai Tedeschi, sia perché essa aveva a lungo rifornito l’esercito di viveri, sia perché i Della Gherardesca si erano schierati con il Re: accusati di tradimento, il Conte e i due “Contini” (i figli) furono costretti a scappare, travestiti da frantoiani. Per far perdere le loro tracce, da Livorno fu diramato un comunicato che diceva che essi erano scappati con le loro flotte da pesca verso la Corsica; sembra, invece, che in realtà si fossero rifugiati a Volterra. In ogni caso, senza l’intraprendenza di uno scaltro imprenditore come il Conte, la Friggera non riprese mai a funzionare: l’accordo con i pescatori non fu più rinnovato e lo stabile fu acquisito dalla Curia Arcivescovile di Siena, che ne fece sede delle sue colonie marine.
Contrariamente a quanto si era verificato a Donoratico, lo stabilimento di San Vincenzo fu in seguito completamente trasformato fino a divenire un grande albergo, e la vecchia “fabbrica delle sardine” fu completamente dimenticata, come il pesce che qui veniva lavorato. Eppure, quell’edificio perduto merita di essere ricordato, non fosse altro che per il fatto di aver contribuito, in anni duri e difficili, a migliorare le misere condizioni di vita di tante famiglie.

friggera 7
Grazie a Cristina (Poveri ma Belli e Buoni) per la foto di Maurizio Dell’Agnello e Rodolfo Tagliaferri, a Juri (Acqua e Menta) per quella del marchio della G.I.P.S.A. e a Maria Teresa (De Gustibus Itinera) per aver scritto (qui) uno splendido articolo sulla Friggera molto prima di me!

Bibliografia:
V. Biagi, San Vincenzo e la pesca del pesce azzurro, 2002, Edizioni L’Aurelia
http://www.intoscana.it/
http://www.taccuinistorici.it/
http://www.degustibusitinera.it/
http://www.comune.san-vincenzo.li.it/

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Commenti

  1. Cristina Galliti dice

    23 Luglio 2016 alle 18:19

    Impeccabile! Grazie Sara per questo articolo preciso e dettagliatissimo !
    Mi ero persa un po’ di info durante la proiezione, ora ho le idee più chiare 🙂

    Rispondi
    • pixelicious dice

      25 Luglio 2016 alle 0:19

      Cristina ma grazie di cuore! Detto da te mi fa davvero un immenso piacere. Felice di esserci stata e di aver scoperto di questo meraviglioso posto nella storia della mia San Vincenzo!

      Rispondi
  2. Susanna dice

    24 Luglio 2016 alle 18:15

    Articolo interessante e molto dettagliato. Grazie per aver condiviso e raccontato la tua bellissima esperienza vissuta durante il blog tour. Un contributo importante per il Calendario!

    Rispondi
    • pixelicious dice

      25 Luglio 2016 alle 0:21

      Grazie di cuore Susanna! Sono davvero felice che l’articolo ti abbia colpita… Una storia che ho raccontato davvero volentieri! Un abbraccio e grazie di essere passata!

      Rispondi
  3. Giuliana dice

    24 Luglio 2016 alle 18:47

    bellissimo Sara! Mi hai fatto conoscere un po’ della storia di San Vincenzo che non conoscevo. Grazie.

    Rispondi
    • pixelicious dice

      25 Luglio 2016 alle 0:28

      A chi lo dici Giuliana… Io pure ignoravo l’esistenza della Friggera prima del blogtour. C’è sempre qualcosa da imparare! Un forte abbraccio

      Rispondi
  4. JURI BADALINI dice

    31 Luglio 2016 alle 21:24

    Un post diverso, non una ricetta ma un pezzo di storia. Grazie Sara, competente e sul pezzo, come sempre! Non si parla solo di pesci dimenticati, ma di un mondo che non c’è più, del quale possiamo leggere alcune tracce solo guardando bene, con gli occhi addestrati dalla conoscenza.

    Rispondi
    • pixelicious dice

      1 Agosto 2016 alle 1:32

      Ciao Juri, eccoti! Grazie di cuore per essere passato. Il pesce dimenticato per me è anche questo, un pezzo di storia legata alla conservazione del pesce come fonte di sussistenza di un paese, un paese a me molto caro. Grazie al blogtour a cui abbiamo partecipato insieme ho scoperto cose che non sapevo e grazie a te ho avuto l’occasione di parlarne!

      Rispondi

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Sara Sguerri, classe 1984, toscana DOC. Foodblogger, foodwriter e foodphotographer dal 2007, ho sempre spadellato e pasticciato per pura passione prima che per necessità. Cucino di tutto, tranne i peperoni!
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