Oggi ricorre l’anniversario della morte di Matilde di Canossa, bella e carismatica guerriera nata a Mantova nel 1046. Ci parlerà di lei, e del biancomangiare, Raffaella Fenoglio del blog Tre Civette sul Comò nel suo post ufficiale, per il Calendario del Cibo Italiano. Ma che legame c’è tra Matilde, una delle donne più potenti della storia dell’Italia, e la deliziosa e candida pietanza? Ve lo spiego subito, prima di lasciarvi la ricetta del Biancomangiare!
Il bianco è un colore che induce generalmente sensazioni di rilassamento, di freschezza, di luminosità; è il colore della purezza e dell’ascetismo. Il biancomangiare trae origine proprio da qui: nel Medioevo, infatti, con questa parola si identificava non una pietanza ben definita o una ricetta specifica, ma un particolare modo di mangiare (“mangiare cose bianche”, appunto), una modalità di preparazione dei cibi e delle pietanze basata sulle presunte qualità del colore bianco, quale simbolo di purezza e misticismo. I cibi del biancomangiare, estremamente raffinati, erano destinati ai banchetti dei nobili e dei ricchi borghesi delle corti europee, e questo termine prese il nome dal colore degli ingredienti utilizzati nella preparazione culinaria: petto di pollo, latte, mandorle, riso, zucchero raffinato, amido, lardo, zenzero etc. Con questo tipo di alimenti, ricercati e costosi, si preparavano ricette dolci e salate che venivano elaborate e miscelate in modo differente a seconda delle zone geografiche. Molte fonti riportano la Francia come luogo di origine del biancomangiare, soprattutto per la frequente presenza negli antichi ricettari di termini francesi come blanche mangieri, balmagier, bramagere, ma è probabile che ciò non corrisponda alla realtà.
In Italia, questo “modo di cibarsi” cominciò a diffondersi intorno all’XI secolo: il primo documento in cui compare il termine “biancomangiare” è infatti l’elenco delle pietanze preparate per il celebre banchetto organizzato nel 1077 da Matilde di Canossa presso il suo castello, una rocca fortificata dell’Appennino reggiano, per la riappacificazione fra Papa Gregorio VII e l’Imperatore Enrico IV. Matilde, una donna di Stato, bella, alta, colta e fiera, grande condottiera devota alla sua missione tanto da rifiutare i tanti amori possibili (fatta eccezione per i mariti “imposti”), ebbe un ruolo fondamentale, durante la lotta tra la Chiesa ed il Sacro Romano Impero, nei rapporti tra papa Gregorio VII e l’imperatore Enrico IV, in conflitto fra loro nella lotta per le investiture (il predominio del Papa o dell’imperatore nella scelta e nell’ordinazione dei vescovi): essendo cugina dell’imperatore Enrico IV e fedelissima del Papa, era la persona ideale per fare da mediatrice tra i due. Quando il Papa decise di scomunicare l’imperatore, quest’ultimo cercò di ottenere il perdono e la revoca della scomunica: giunto al castello di Canossa, Enrico IV scoprì però che il pontefice non aveva alcuna intenzione di riceverlo. A quel punto fu Matilde a convincere il riluttante Gregorio VII: “perdoni il peccatore, non il politico”. Il Papa accettò, ma a patto che l’Imperatore si umiliasse pubblicamente: per tre giorni e tre notti, Enrico IV attese di essere ricevuto dal pontefice davanti al portone d’ingresso del castello di Matilde di Canossa, e durante l’attesa dovette stare inginocchiato col capo cosparso di cenere mentre imperversava una bufera di neve. Finalmente, la mattina del 28 gennaio, le porte del castello di Canossa si aprirono ed Enrico IV fu ricevuto dal pontefice. Il pranzo preparato da Matilde per festeggiare l’evento fu uno dei più memorabili di tutto il Medioevo, non tanto per il numero di portate (una ventina) quanto per la raffinatezza dei cibi; tra di essi, oltre ai piatti più noti del tempo (spiedi di capriolo, fagiano e pernici), venne proposta una pietanza che strabiliò i commensali per la sua delicatezza: il biancomangiare, una sorta di “crema” che conteneva pollo, farina di riso, latte di pecora, acqua di rose, mandorle e chiodi di garofano.
Andando avanti nel tempo, troviamo il biancomangiare nel “Liber de coquina”, il più antico ricettario di cucina delle corti italiane europee del tardo Medioevo, redatto intorno al 1300: qui, il biancomangiare è descritto come una pietanza composta da petto di pollo cotto e tagliato a filetti, lardo e farina di riso stemperata in latte di capra o di mandorle, il tutto messo a bollire a fuoco lento con zucchero. Lo stesso ricettario propone una variante per la quaresima, nella quale viene escluso il lardo e dove è protagonista il latte di mandorle, mentre la carne viene sostituita da polpa bianca di pesce e si aggiungono porri lessati.
Un’ulteriore variante ancora più elaborata e delicata fu proposta dal gastronomo Mastro Martino da Como intorno al 1400 nel suo “Libro de arte coquinaria” il ricettario che segna il passaggio dalla cucina medievale a quella rinascimentale: qui, nel biancomangiare è prevista l’eliminazione del lardo e l’introduzione di brodo di cappone, mollica di pane bianco, acqua di rose, agresto e zenzero bianco.
Elaborazioni culinarie che seguono le regole del biancomangiare sono state rintracciate in ricettari e trattati seicenteschi (Messisbugo, Scappi, Stefani), dove questo tipo di preparazione era concepito come minestra o salsa da versare sulle carni, soprattutto sul bollito. La ricetta più nota di epoca più recente viene proposta da Marie-Antoine Carême, cuoco francese dei primi anni dell’Ottocento, e riporta l’aggiunta di una gelatina fatta con latte di mandorle dolcificato con miele.
Oggi, il biancomangiare è una preparazione dolce e delicata, curiosamente tipica di tre regioni italiane: la Valle d’Aosta, la Sicilia e la Sardegna. La versione valdostana viene anche chiamata Blanc Manger e si prepara in due modi: il primo, più tradizionale, prevede l’utilizzo di panna da latte valdostano, mentre nel secondo si utilizza latte di mandorle; in entrambi i casi, il biancomangiare viene addensato con colla di pesce, e può essere guarnito a piacere con un filo di caramello, una goccia di miele o, in stagione, con frutti di bosco freschi. La seconda versione valdostana si avvicina molto al dolce siciliano, che è tipico di Modica ed è formato da una crema preparata con mandorle tritate, zucchero, amido, buccia di limone, acqua di fiori d’arancio e cannella, messa poi a raffreddare in forme di terracotta (il cosiddetto “iancumanciàri di mènnuli”). In Sardegna, invece, il biancomangiare è un dolce chiamato Menjar blanc, nel quale la crema di latte è racchiusa tra due sfoglie. La versione siciliana, tra l’altro, si ritrova anche nel celebre romanzo “Il Gattopardo” ed è menzionata come “raffinata mescolanza di biancomangiare, pistacchio e cannella”.
E finalmente, eccovi la mia ricetta, forse non l’originale, ma sicuramente di ispirazione siciliana, avendo io scelto di utilizzare latte di mandorle, limone e acqua di fiori d’arancio ed utilizzando l’amido al posto della gelatina. A voi!
- 1 l di latte di mandorle
- 130 g di maizena
- 130 g di fruttosio (o 145 g di zucchero)
- 3 cucchiai di acqua di fiori d’arancio
- ½ limone (scorza)
- cannella
- granella di mandorle
- miele di cardo
- Scaldate in una casseruola il latte di mandorla tenendone da parte un bicchiere, dove andrete a sciogliere la maizena. Portate a bollore unendo il fruttosio (o zucchero), l’acqua di fiori d’arancio e la scorza di limone grattugiata, quindi unite il restante latte in cui avete sciolto la maizena e continuate a cuocere, sempre mescolando con la frusta, fino a che la crema non si addenserà e diventerà soda. Versate quindi il composto negli stampini monoporzione e lasciate intiepidire a temperatura ambiente, dunque ponete in frigo a raffreddare per almeno 4 ore. Al momento di servire i vostri desserts, sformateli su dei piattini e decorate a piacere con un pizzico di cannella, granella di mandorle e un filo di miele. Per una versione più “siciliana”, potete unire alla decorazione anche dei pistacchi tritati.
Bibliografia:
AA. VV., Dolci al cucchiaio, 2008, Edizioni Gribaudo
F. Meloni, Il cibo parla: alimentazione corretta e consapevole, 2010, Edizioni Mediterranee
D. Guaiti, Valle d’Aosta, 2010, Edizioni Gribaudo
A. Machado – C. Prete, 1001 Specialità della Cucina Italiana, 2015, Newton Compton Editori
B. Vespa, Donne d’Italia, 2015, Edizioni Mondadori
G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, 1958, Feltrinelli
AA. VV., Cucina regionale: 630 piatti della tradizione, 1996, Slow Food Editore
http://www.taccuinistorici.it/
http://cultura.biografieonline.it/
http://www.saperesapori.it/
http://it.julskitchen.com/
tiziana dice
Un bellissimo biancomangiare. Molto elegante anche il tuo come quello di Valentina.
Buona giornata sul calendario anche a te.
Tiziana
pixelicious dice
Grazie mille Tiziana! Un abbraccio
barbara dice
Ma sai che non conoscevo questa storia?Eppure Matilde ed i suoi innumerevoli castelli sono qui,a pochi chilometri da me…
Un abbraccio grande
pixelicious dice
Ciao Barbara! Adesso lo sai, e magari visitare quei castelli ti farà venire voglia di biancomangiare! 😀 Un abbraccio grande e grazie di essere passata! 🙂
Ketty Valenti dice
Mi rendo conto di essere spudoratamente di parte ? ma la versione Siciliana è una favola, latte di mandorla possibilmente pastoso, addensato con amido, scorsa di limone, acqua di fiori d’arancio ecc insomma una festa delicatissima per il palato,io lo adoro.Molto bello il tuo.
Grazie per queste ulteriori dettagli che sconoscevo.
L’ultima stellina non prende?
pixelicious dice
Ketty ma grazie… Farò finta che le stelline siano 5 😀 😀 Io amo la Sicilia, e da adesso adoro anche il biancomangiare! Grazie di cuore per essere passata di qui… Un abbraccio!
Elena dice
Sono sicura che questo dolce e delicato biancomangiare , e’ ottimo..solo a vedere le tue foto viene l acquolina in bocca Sara! E sempre complimenti x i tuoi racconti cosi’ interessanti !
pixelicious dice
Mamy grazie mille… Confermo, è davvero ottimo! 🙂