Oggi il Calendario del Cibo Italiano festeggia le Pesche all’Amaretto, una ricetta semplice che appartiene alla tradizione culinaria piemontese. Sarà Ottavia Bielli del blog Mirepoix: la Cucina delle Verdure a parlarci, nel suo post ufficiale, dell’abbinamento di questi frutti estivi con i noti biscotti a base di mandorle amare e della ricetta che meglio consolida la loro unione; io stavolta contribuisco a questa giornata non con la ricetta tradizionale, ma con una rivisitazione fresca ed elegante che non ne snatura il gusto, pur avendo un diverso aspetto: le Pesche all’Amaretto in Forma!
Le pesche ripiene piemontesi rappresentano una chicca gastronomica di tutto rispetto, nonostante la loro semplicità. Il loro punto di forza sta sicuramente nell’abbinamento con gli amaretti, che costituiscono il ripieno gustoso delle succose pesche, uno dei frutti estivi più amati (pensate: ne mangiamo circa 10 kg l’anno a testa!).
Ottime nella macedonia, perfette accompagnate da un bicchiere di vino dolce, le pesche esistono da sempre: Virgilio le colloca ben prima di Cristo. Originarie dalla Cina, dove già cinquemila anni fa erano considerate frutti benedetti dell’albero dell’immortalità, le pesche furono diffuse in Europa dai Greci e, dopo di loro, i Romani le battezzarono “mala persica” ( = mele persiane).
Nonostante la gastronomia moderna utilizzi oggi questi frutti anche per antipasti (sublimi assieme agli scampi crudi) o in gustose insalate accompagnate da verdure croccanti, la loro “morte” è senz’altro nelle preparazioni dolci. Nel caso della ricetta piemontese le pesche vengono aperte a metà, private del nocciolo e farcite con un composto di amaretti, mandorle, tuorli, zucchero, vino passito (come Marsala o Vin Santo) e cacao amaro. Io ho preparato una sorta di purea con gli stessi ingredienti, addensati soltanto sul fuoco con amido di mais, sostituendo quindi i tuorli con quest’ultimo, e li ho messi a rassodare in formine monoporzione. Al centro, un sorprendente cuore di cacao amaro.
In realtà avevo tentato di preparare gli amaretti da sola, ma il risultato è stato quasi tragico (un po’ come le meringhe… Non tutto mi è concesso, utilizzando il fruttosio al posto dello zucchero!). Per chi non li conoscesse, gli amaretti sono dei biscotti rotondi e leggermente schiacciati, con crepe superficiali, di un bel colore nocciola dorato e dal forte gusto di mandorla amara, diffusi in molte regioni d’Italia. La loro origine è piuttosto controversa: alcuni ritengono che siano stati inventati dagli Arabi per poi diffondersi nelle tradizioni culinarie di Normanni e Spagnoli, che all’epoca occupavano la Sicilia; altri autori ritengono invece che gli amaretti siano stati inventati nel nostro Paese, ma non tutti concordano sulla regione di provenienza. In effetti, numerose sono le zone che a tutti i costi cercano di accaparrarsi il primato vantando diverse varianti: la Liguria con gli amaretti di Sassello, l’Emilia Romagna con l’amaretto di Spilamberto, in provincia di Modena (piccolo paese nell’entroterra modenese famoso per le sue mandorle), la Sardegna con i suoi tipici sospiros, la Lombardia con gli amaretti di Saronno, in provincia di Varese, ed il Piemonte con gli amaretti di Valenza, di Aqui, di Gavi e di Ovada (provincia di Alessandria) ma soprattutto con quelli di Mombaruzzo, in provincia di Asti, che sono molto rinomati.
Coloro che rivendicano l’origine piemontese dell’amaretto, sostengono che questo biscotto sia nato proprio a Mombaruzzo: inventato nella prima metà del ‘700 da Francesco Moriondo, cuoco e pasticciere della corte dei Savoia, l’amaretto divenne una delle tipicità di questa località quando questi vi si trasferì nel 1750 aprendo qui la sua bottega.
Gli amaretti di quel tempo erano ben diversi da quello che mangiamo oggi, innanzitutto perché venivano fritti, ma anche perché contenevano ingredienti differenti: oltre a mandorle, zucchero e albume d’uovo, che da soli bastano a preparare gli amaretti che oggi conosciamo, un tempo si aggiungevano anche cannella, farina, burro, acqua di rose e zafferano.
Esistono infinite versioni di amaretti: più soffici e morbidi, come quelli sardi, quelli modenesi o quelli di Sassello, e più secchi e croccanti, come quelli di Saronno. Nonostante gli ingredienti siano sempre gli stessi (come detto mandorle – sia dolci che amare – zucchero e albumi, uno ogni 250 g di impasto di zucchero e mandorle), le varie differenze sono date principalmente da due variabili: la montatura a neve o meno delle chiare d’uovo e la temperatura di cottura unitamente alla durata di essa. Montare gli albumi a neve permetterà di inglobare più aria rispetto all’utilizzo di chiare non montate, ottenendo quindi un composto più voluminoso e più leggero, e anche la cottura degli amaretti a bassa temperatura (circa 100° C) per un tempo lungo (1 ora circa) consentirà di ottenere un prodotto più croccante rispetto ad una cottura più breve (15 minuti circa) a temperatura più alta (180° C), che darà origine a biscotti più morbidi.
Un discorso a parte va fatto per le mandorle che si utilizzano per preparare gli amaretti: non servono soltanto le dolci, classiche, che troviamo comunemente in commercio (anche già spellate e ridotte in lamelle, in granella o in farina), ma c’è bisogno anche delle mandorle amare, generalmente in un rapporto 1:4 (per 80 g di mandorle dolci occorrono 20 g di mandorle amare). Poiché le mandorle amare sono il frutto dell’albero di mandorlo non ancora innestato, se non si possiede un mandorlo in giardino sarà molto difficile reperirle. Ecco che vengono in nostro aiuto le armelline, ovvero i semi contenuti nei noccioli delle albicocche: in fondo, l’albero che origina le due specie è dello stesso genere (prunus). Ma sono velenosi? Beh, sì e no. Sì, perché contengono tracce di acido cianidrico (lo contengono anche le mandorle dolci in realtà, ma più la mandorla è amara e più questa sostanza è presente in dosi elevate), che può causare problemi anche gravi. No, perché i problemi potrebbero presentarsi dopo l’ingestione di almeno 40 g circa di armelline, il che significherebbe mangiarne una quarantina in un colpo solo (o, nel caso degli amaretti, per lo meno una trentina)… Tranquilli quindi, non vi faccio avvelenare!
Se preparate da soli gli amaretti ed avete comunque timore, siete liberi di omettere le armelline ed utilizzare soltanto mandorle dolci. Nel mio tentativo fallito le avevo utilizzate, snocciolando pazientemente una trentina di albicocche e rompendone il nocciolo con lo schiaccianoci per recuperare le armelline… Peccato che non sia servito a niente 🙁
- 1 kg di polpa di pesche (una decina - peso lordo 1,6 kg)
- 30 ml di Vin Santo
- 150 g di fruttosio (o 170 g di zucchero)
- 150 g di amaretti + qualcuno per la decorazione
- 150 g di maizena
- 20 g di cacao amaro non zuccherato
- Sbucciate le pesche, tagliate la polpa a cubetti e frullatela al mixer assieme al Vin Santo, al fruttosio, agli amaretti e alla maizena fino a formare una purea omogenea.
- Pesate ⅓ del composto trasferendolo in un pentolino ed amalgamatevi benissimo il cacao amaro.
- Portate a bollore le due creme, una alla volta, mescolando ininterrottamente per evitare la formazione di grumi, fino a che le preparazioni non si addenseranno staccandosi dalla parete.
- Trasferite subito le due creme negli stampini (io ho utilizzato stampi in silicone) versando in ognuno un cucchiaio di crema di pesche e amaretti, quindi un cucchiaino di crema al cacao e infine di nuovo un cucchiaio di crema di sole pesche e amaretti; sbattete gli stampini leggermente sul piano di lavoro e pressateli con il dorso di un cucchiaio bagnato affinchè non vi siano spazi vuoti all’interno, dunque ponete in frigo a raffreddare per almeno 4 ore.
- Al momento di servire i vostri budini, sformateli su dei piattini e decorate a piacere con qualche amaretto sbriciolato e qualche fettina di pesca fresca.
Bibliografia:
L. Granello, I sapori d’Italia dalla A alla Z, 2015, Gribaudo
A. Machado – C. Prete, 1001 Specialità della Cucina Italiana, 2015, Newton Compton Editori
AA. VV., L’Italia del Gambero Rosso: Basso Piemonte e Langhe, 2007, Edizione speciale per Il Sole 24 Ore
P. Artusi, La Scienza in Cucina e l’Arte di Mangiar Bene, 1891, Landi Editore
http://www.gennarino.org/
http://www.cibo360.it/
http://www.mychef.tv/
http://www.taccuinistorici.it/
Ottavia dice
Ciao Sara, graie per il tuo contributo!!! Che idea originale, sembrano davvero deliziose.
Credo proprio che la proverò…
pixelicious dice
Grazie di cuore anche qui Ottavia! 🙂
Camilla dice
Che ricetta deliziosa Sara, un’ottima variante delle pesche all’amaretto.
Buona serata.
pixelicious dice
Grazie mille Camy! Buona serata a te 🙂