Oggi il Calendario del Cibo Italiano targato AIFB festeggia la vignarola, un piatto della tradizione romana, precisamente di Velletri, di cui sono orgogliosamente ambasciatrice. Inutile dire che vi invito calorosamente a leggere il mio post ufficiale sul sito AIFB per scoprire tutto quello che c’è da sapere su questo gustoso piatto; qui, vi anticipo solamente che si tratta di un vero e proprio inno alla primavera: carciofi (le “mamme” romanesche), fave e piselli sono infatti i protagonisti indiscussi! Qui sul mio blog, però, io vi faccio conoscere quello che è la “nostra” celebrazione della primavera: qui a Lucca, infatti, esiste un piatto molto simile, anzi oserei dire quasi identico, alla vignarola romana: la Garmugia Lucchese, Versione Toscana della Vignarola Romana, anche se molto meno nota.
Non avevo mai preparato la garmugia pur essendo lucchese (d’adozione, posso aggiungere a mia discolpa): ci voleva la vignarola a convincermi! Il piatto di tradizione laziale mi ha affascinata nella sua estrema semplicità, la stessa che si ritrova nella garmugia lucchese. Anche il simbolismo che si cela dietro al piatto è pressoché identico: il passaggio dall’inverno alla primavera, il risveglio della natura, una sorta di rinascita spirituale a base di “primizie” primaverili, ossia carciofi, fave, piselli e, in questo caso, anche asparagi, verdure scelte che non hanno bisogno di essere aromatizzate con spezie. Niente aromi, quindi: nella garmugia come nella vignarola, la bontà del piatto risiede solo nei grati profumi della primavera!
Rispetto alla vignarola, però, che a quanto pare era appannaggio di molti contadini laziali, la garmugia parrebbe essere un piatto destinato ai nobili lucchesi del ‘600, ed è proprio a questo periodo che si fa risalire l’origine di questa ricetta. E’ la presenza della carne che dimostra la “ricchezza” del piatto, probabilmente una “rivisitazione” di qualche zuppa primaverile di origine contadina impreziosita dal macinato fresco e dalla gustosa pancetta, ingredienti che difficilmente erano a disposizione nella consueta dispensa dei popolani e dei contadini. Un altro elemento che testimonia la “nobiltà” della garmugia è la densità di questa zuppa, nella quale non è richiesta la presenza di troppo brodo: la garmugia, infatti, non cuoce a lungo come le classiche zuppe contadine, poiché le verdure utilizzate per prepararla devono restare integre e non diventare troppo morbide (un aspetto, questo, caratteristico comunque anche della vignarola). Infine, a differenza di una classica zuppa, la garmugia non prevede il pane raffermo messo sul fondo delle ciotole, ammorbidito dal brodo, ma una dadolata di crostini di pane posti a decorazione della superficie.
Il merito della “riscoperta” della garmugia va alla Marchesa Maria Luisa Incontri Lotteringhi della Stufa, che la inserì nella sua opera “Pranzi e Conviti” del 1965. Nonostante ciò, questo piatto oggi viene cucinato in pochissime case private ed è quasi introvabile nei ristoranti. La Marchesa consigliava la garmugia a chi usciva da una lunga malattia, considerandolo un piatto ricostituente; anche lo scrittore viareggino Mario Tobino parlò della garmugia come un piatto settecentesco nato per curare i convalescenti e rimetterli in salute.
Ma da dove viene questo strano nome? Non ci sono fonti attendibili che parlino dell’etimologia di questa parola, dunque possiamo solo fare delle supposizioni: il termine “garmugia” deriva forse da “germoglio”, visto che si tratta di un piatto preparato con tutte verdure freschissime, oppure dalla parola francese “gourmet”. Quel che è certo è che sia una ricetta tipicamente lucchese, non, genericamente, “toscana”, e ben poco nota anche entro i confini della provincia stessa; in molti giustificano questa diffusione elitaria, che perdura ancora oggi, con il fatto che gli ingredienti per prepararla erano e sono di difficile approvvigionamento, e disponibili per un periodo molto breve.
Il metodo di cottura della garmugia sarebbe quello antico, cioè a fuoco dolce sulla brace, in marmitte – pentoloni – di terracotta, ma oggi bisogna accontentarsi di una cottura lenta, ottenuta con fiamma bassissima.
- 100 g di fave sgusciate (peso lordo 400 g)
- 100 g di pisellini sgranati (peso lordo 270 g)
- 150 g di asparagi (peso lordo 350 g)
- 2 carciofi
- 1 limone (succo)
- 3 cipollotti freschi
- 1 carota
- 2 fette di pancetta spessa 1 cm (circa 120 g)
- 100 g di macinato di vitello
- sale
- olio extravergine di oliva
- pepe
- Sgusciate le fave (tenete da parte qualche scorza) e sgranate i piselli, lavate entrambi sotto l’acqua fredda mantenendoli separati e conservate i baccelli esterni dei piselli. Lavate gli asparagi, eliminate buona parte dei gambi e tenete da parte anche questi. Pulite i carciofi eliminando le foglie esterne più dure e le punte, quindi poneteli in una ciotola con acqua acidulata con il succo del limone. Pulite il cipollotto senza gettare la parte verde ed affettatelo finemente.
- Ponete sul fuoco una pentola con 1 litro di acqua salata, unitevi gli scarti delle verdure (i baccelli esterni dei piselli e di qualche fava, la parte verde dei cipollotti, i gambi degli asparagi e qualche foglia di carciofo) assieme alla carota pelata e lasciate sobbollire, scoperto, per circa 45 minuti. Aggiustate di sale e filtrate il brodo così ottenuto, tenendolo in caldo.
- In un tegame lasciate soffriggere il cipollotto affettato con qualche cucchiaio d’olio fino a che non sarà trasparente, quindi unite la pancetta tagliata a listarelle fini e fate rosolare fino a renderla croccante. Unite a questo punto anche il macinato di vitello e lasciate cuocere per circa 5 minuti. Nel frattempo scolate i carciofi, tagliateli in 4 spicchi ciascuno ed affettate ogni spicchio a fettine di circa ½ cm di spessore; poneteli nel tegame unendo un paio di mestoli di brodo. Dopo circa 5 minuti aggiungete le fave assieme ad un altro mestolo di brodo ed infine, trascorsi altri 5 minuti, unite i piselli.
- Unite in ultimo gli asparagi tagliati a tocchetti lunghi 4-5 cm, coprite il tegame e continuate la cottura a fuoco basso per circa 10 minuti (le verdure non dovranno risultare troppo morbide), mescolando di tanto in tanto e aggiungendo altro brodo se e quando necessario (non dovrà essere troppo liquida). A fine cottura aggiustate di sale, macinate un pizzico di pepe e lasciate riposare per qualche minuto.
- Nel frattempo tagliate a cubetti le fette di pane e fateli abbrustolire da tutti i lati in una padella antiaderente.
- Servite la garmugia accompagnata dai crostini di pane, completando ciascun piatto con un filo d’olio a crudo.
Vi invito a dare un’occhiata agli splendidi contributi che alcuni soci AIFB hanno preparato per celebrare assieme a me la giornata nazionale della vignarola:
Cristiana Di Paola, Beufalamode: Vignarola
Serena Bringheli, Cucina Serena: Vignarola romana
Anna Calabrese, La Cucina di Anisja: Zuppa di fave, piselli e patate, una vignarola campana
Valentina De Felice, Di Verde Di Viola: Insalata di qunioa alla vignarola
Bibliografia:
S. Lotti, La Cucina della Lucchesia, 2004, Maria Pacini Fazzi Editore
L’A4 di LabArtArc, Bollettino on line num. 92, 12 maggio 2012, LabArtArc Edizioni
La ricetta della garmugia dal blog di Patrizia Malomo: http://www.andantecongusto.it/
Serena dice
Grazie a te apprendo questa ricetta “cugina” della vignarola. Sei stata una perfetta ambasciatrice, lieta di aver contribuito alla tua giornata!
pixelicious dice
La vignarola ha parenti in tutto il centro-sud Italia, ne sono convinta… L’occasione di celebrare le primizie primaverili in un unico piatto è troppo ghiotta! Sono onorata di esser stata una brava ambasciatrice, quel che so per certo è che ho avuto delle ottime contributors al mio fianco! Un abbraccio Sere e grazie mille! 🙂
Miren colombo dice
E sempre un piacere leggere di cose buone,il piacere si di cucinare ma di gustarlo con tutti i sensi L’arte del gustobravi
pixelicious dice
Che bello il tuo commento Miren! Quando si va a toccare la tradizione, cucinare è ancora più bello ed è un piacere parlarne, oltre che degustare! Grazie di cuore per essere passata di qui ❤️