Se si dice “granite” si intende Sicilia. Non potrebbe essere altrimenti, almeno per come la penso io: abituata ad anni e anni di granite “finte” (ghiaccio tritato e sciroppo industriale è quel che passa il convento, dalle mie parti), ritrovarmi in Sicilia a gustare cremose granite di mandorla, di more di gelso, di pistacchi o al caffè è stato per me un sogno ad occhi aperti. Ben 6 anni sono passati da quei tre brevissimi giorni trascorsi a Catania, eppure quelle granite le porto ancora nel cuore.
Oggi il Calendario del Cibo Italiano celebra proprio lei, la granita… E mentre vi invito a leggere il post ufficiale, vi parlo dell’unica granita che in quei pochi giorni trascorsi a Catania non ho avuto il piacere di assaggiare, la Scursunera: la Granita Siciliana al Gelsomino e Cannella.
Quando ho fatto mente locale circa la quantità di fiori di gelsomino necessaria per questa preparazione, realizzando che non sarebbero bastati due-tre rametti “rubati” all’ignara signora che vive in quella bella villetta a 100 metri da me, ho chiamato mia mamma.
– Mamy, mi servirebbero tanti, tanti, tanti fiori di gelsomino. Come sta la tua pianta?
– Eh, insomma, sta sfiorendo, dovevi pensarci prima. Però aspetta, sento il giardiniere come stanno messi gli altri.
– Gli altri??
– Sì… Tutta la zona è in mano sua. Pota il gelsomino di tutta la piazza. Glielo dico. Quando verresti?
– Eh, boh, diciamo a metà luglio… Devo restare da te una notte, perché i fiori vanno tenuti a mollo per molte ore e poi l’acqua va filtrata e congelata…
Segue nuova telefonata in cui comunico data e ora del mio arrivo: lunedì 18 luglio, ore 11,30 circa. La mamma chiama il giardiniere. Il giardiniere organizza il suo lavoro di potature dei giorni a seguire in base alla mia richiesta, ignaro dell’utilizzo che dovrò fare di tutto quel gelsomino. Lunedì 18 luglio, alle ore 11,00, un sacchetto di fiori appena raccolti viene recapitato a casa di mia mamma.
Il mattino seguente esco con mia mamma e proprio fuori dal cancello, toh, il giardiniere. “E’ lei quella del gelsomino!”, grida lei soddisfatta, indicando me. “Ah, e che ci hai fatto?”, mi chiede lui. Io arrossisco. Guardo in basso, sorrido nervosa, mi gratto la fronte. “Una granita…”. Il giardiniere mi guarda con aria interrogativa, poi scuote la testa. Eh no, lui non dev’essere stato siciliano inside nella sua vita precedente, a differenza di me! 😛
La granita è per i siciliani un vero e proprio rituale estivo. La si mangia a qualsiasi ora del giorno, al mattino per colazione o di sera dopo cena, spesso accompagnata dalla brioscia col tuppo, la variante siciliana della brioche che negli anni ha sostituito il filoncino di pane. La presenza importante delle granite nella tradizione siciliana si deve agli arabi, che durante gli anni della loro dominazione dell’isola (827 – 1091 d.C.) già erano abituati alla “sharbat” o “sherbeth” (da cui deriva il nome “sorbetto”), una bevanda ghiacciata aromatizzata con succhi di frutta o acqua di rose. A quell’epoca, il ghiaccio che si utilizzava per queste antenate delle odierne granite era la neve, che veniva stivata in apposite costruzioni dette “nivere” (neviere) per l’utilizzo estivo; proprio in omaggio ad esse e all’antica tradizione dei “nivaroli”, il festival dedicato alla granita che si tiene ad Acireale ogni anno tra la fine di maggio e l’inizio di giugno è noto come “Nivarata”.
Nel XVI secolo, poi, si scoprì che la neve poteva essere usata come refrigerante invece che come ingrediente. Vennero quindi creati dei pozzetti di legno con all’interno un secchiello di rame o di zinco: nell’intercapedine tra il legno e il metallo si metteva il ghiaccio misto a sale marino, poi vi si stendeva sopra un sacco di juta arrotolato o un letto di paglia per evitare dispersioni di calore e, nel secchiello, venivano mescolati acqua, succhi di frutta e zucchero, con il movimento rotatorio delle palette che impediva al ghiaccio formatosi di cristallizzarsi in pezzi troppo grossi. La granita così preparata ha sostituito nei secoli il ghiaccio grattato (la cosiddetta “rattata” a Napoli, a Palermo invece nota come “grattatella”) al quale si aggiungeva il succo di frutta.
Nel XX secolo il pozzetto, che molto ha aiutato la vendita ambulante del gelataio siciliano, è stato sostituito dalla moderna gelatiera, ma la tecnica della preparazione è rimasta immutata nei secoli: ancora oggi la granita siciliana, molto cremosa, morbida e lavorata, ha la particolarità di non prevedere l’utilizzo del ghiaccio al suo interno, laddove invece le comuni granite sono preparate ancora con la tecnica del ghiaccio grattato, al quale si aggiungono il liquore e gli aromi. In sostanza la granita siciliana, irripetibile nelle altre regioni, è molto più simile ad un sorbetto.
Una delle versioni più diffuse di granita era, un tempo, la “scursunera”, termine che merita un piccolo approfondimento. La “scursunera” o, per meglio dire, “scorzònera” è la barba di becco (tragopogon pratensis), una pianta erbacea tipica dell’Appennino (in Toscana è la “barba di’bbecco”) sul cui fusto, tra maggio e giugno, compaiono larghe margherite gialle e grandi soffioni. La radice di questa pianta è nota ancora oggi con il nome di “sassèfrica”, “salsèfrica” o “salsèfica”.
La presenza della granita alla scursunera era già attestata alla fine dell’Ottocento, quando il palermitano Giuseppe Pitrè, antropologo e grande studioso delle usanze della sua regione, la citò nel suo “Cartelli, pasquinate, canti, leggende, usi del popolo siciliano”, il 24esimo dei 25 volumi che compongono la straordinaria opera “Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane”. Qui, Pitrè racconta che “nelle ore antimeridiane i gelati si servono in bicchierini, sia in forma solida, sia in forma semisolida, (granita). Fan parte di quelli la cannella e la scorsoniera. Le due qualità od altre simili si uniscono anche oggi alla vecchia maniera sotto il titolo di scursunera cu puntu di cannella”. Nell’Ottocento, dunque, l’essenza di scursunera veniva utilizzata da sola per produrre granite e gelati, ma in seguito è stata dapprima unita ad altri aromi, come l’essenza di gelsomino (anch’esso, peraltro, importato dagli Arabi), ed infine del tutto eliminata. Oggi, il suo nome viene usato per indicare la granita di gelsomino e cannella, dal sapore particolare e profumato: in sostanza, il nome di un ingrediente ormai scomparso dalla ricetta viene mantenuto e utilizzato per indicare versioni simili di una stessa ricetta.
- 2 tazze (30 g) di fiori di gelsomino + quelli per la decorazione (peso lordo circa 140 g)
- 1 stecca di cannella
- ¼ di limone
- 45 g di fruttosio (o 50 g di zucchero)
- 1 pizzico di cannella in polvere
- Versate 375 ml di acqua in una ciotola e ponetevi i fiori di gelsomino a mollo per 10-15 ore.
- Trascorso questo tempo, preparate uno sciroppo facendo sciogliere il fruttosio (o zucchero) in 150 ml di acqua assieme ad una stecca di cannella, dunque aggiungete il succo di limone filtrato e lasciate intiepidire. Quando lo sciroppo sarà tiepido, filtrate l’acqua di macerazione dei fiori di gelsomino ed unitela allo sciroppo eliminando la stecca di cannella; versate in un recipiente in acciaio e ponete in freezer. Dopo circa un’ora, che la granita inizierà a gelare, scrostate con un cucchiaio il ghiaccio che si sarà formato alle pareti ed in superficie e mescolate il tutto; ripetete quest’operazione ogni mezz’ora per circa 6 ore, fino a che la granita non avrà raggiunto la giusta consistenza. Servite dunque nei bicchieri, decorando con qualche fiore di gelsomino ed un pizzico di cannella in polvere.
circa 6 ore per ottenere la giusta consistenza della granita, rompendo i cristalli di ghiaccio ogni mezz'ora
Bibliografia:
A. Allotta, La cucina siciliana, 2012, Newton Compton Editori
C. Serretta, Forse non tutti sanno che in Sicilia…, 2015, Newton Compton Editori
L. Milanesi, Dizionario Etimologico della lingua siciliana, 2015, Mnamon Edizioni
M. Cesari Sartoni, Mangia italiano: guida alle specialità regionali italiane, 2005, Morellini Editore
M. Taylor Simeti, La tavola del Gattopardo, 2001, Parco Letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa
K. Brentani, Cucinare con erbe, fiori e bacche dell’Appennino, 2013, Damster Edizioni
E. Carcano, Il banchetto del Gattopardo: a tavola con l’aristocrazia siciliana, 2005, Il Leone Verde Edizioni
Elena dice
Ah Sara ! Che soddisfazione vedere realizzata questa ricetta , sapendo di aver contribuito alla ricerca della materia prima …!Nn era facile , data la stagione gia’ avanti, ma ce l abbiamo fatta.E poi vederti all opera con tutta la tua energia, dedizione e pazienza..!! Che dirti ancora ….brava brava brava . Infine, tanto peressere ripetitiva, complimenti per il post e le foto!
pixelicious dice
Eheheh mamy, è grazie a te se sono riuscita a preparare questa granita! Quindi sarò ripetitiva anch’io: grazie, grazie e grazie, della mano che mi hai dato e dei complimenti! <3
Filippo Figuera dice
Peccato che quello in foto non è un gelsomino. Spero che abbia fatto una ricerca sulla eventuale tossicità di Trachelospermum jasminoides. Non si sa mai.