In principio fu Crocus, un bellissimo ragazzo che si innamorò, ricambiato, della ninfa Smilace. Ma come in ogni storia d’amore che si rispetti qualcuno non era affatto d’accordo, e contrastava con tutte le forze la loro unione. Ecco Ermes dunque, dio della salute, prestante e atletico, che offeso da questa love story trasformò Crocus in un bulbo.
La mitologia greca ci racconta così dell’origine dello zafferano, crocus sativus, spezia pregiatissima ricavata proprio dagli splendidi fiori viola di quel bulbo: Sabrina Fattorini del blog Architettando in Cucina ci racconterà di lui nel suo post ufficiale del Calendario del Cibo Italiano, e noi siamo tutt’orecchi. Io, nel frattempo, accendo il forno e corro a cuocere l’antico quanto goloso Copo o Pastillo de Lacte: Crostata con Crema allo Zafferano!
Se i fiori viola dello zafferano sono estremamente affascinanti, altrettanto splendidi sono i suoi pistilli color rosso vermiglio, che nelle nostre cucine tingono d’oro piatti celebri come il risotto alla milanese, la pasta con le sarde siciliana, lo scapece dell’Abruzzo ed il brodetto di Porto Recanati marchigiano. L’Italia produce orgogliosamente quattrocento chili all’anno di “oro rosso”, come si usa chiamarlo, metà dei quali in arrivo dalla Sardegna e dall’Abruzzo, regioni che detengono le due DOP italiane di questo prodotto. La produzione mondiale annua ammonta a duecento tonnellate scarse e proviene principalmente da India, Kashmir, Grecia, Marocco e Spagna. Numeri così bassi sono dovuti alla faticosità della raccolta di questa spezia, per questo definita estremamente pregiata: il suo status di pianta sterile, infatti, obbliga alla riproduzione vegetativa, piantando, espiantando e ripiantando secondo cicli che variano da uno a quattro anni, senza chimica e senza concimazioni forzate.
Arrivati a maturazione, i bulbi fioriscono a fine estate ed i campi si vestono di violetto: bisogna quindi alzarsi all’alba e cogliere velocemente i fiori ad uno ad uno quando sono chiusi, per poi aprirli delicatamente ed estrarre i pistilli, da asciugare con maestria facendoli tostare in forni dedicati, operazione che porta via i quattro quinti di quanto raccolto e selezionato. Questo lavoro è quasi completamente manuale ed avviene ancora oggi come nel Medioevo. In Sardegna, a tutto ciò si aggiunge sa feidadura, un tocco impercettibile con le dita unte d’olio che serve a proteggere gli stimmi e a renderli lucenti.
In effetti, la produzione dello zafferano in epoca medievale era già particolarmente fiorente, ed il suo utilizzo in cucina aveva un’importanza maggiore di quella attuale. Il motivo è presto detto: se oggi il colore del cibo è inteso soprattutto come manifestazione della sua freschezza e della sua “natura”, nel Medioevo al contrario il cibo veniva “colorato” con erbe e spezie che gli conferivano un aspetto artificiale e quasi innaturale. La predilezione per il giallo, in particolare, era legata all’immagine solare dell’oro, che si diceva fosse utile per tenere lontane le malattie; questa, oltre ad essere particolarmente ricorrente negli sfondi della pittura dell’epoca, si traduceva in cucina nel largo uso di tuorli d’uovo e zafferano, di cui si trovano numerose tracce nel “Libro de Arte Coquinaria” del Maestro Martino da Como, datato indicativamente 1456. L’indicazione, talvolta, è proprio esplicita, non solo in questo libro ma in molti alti trattati di cucina medievale: «colora cum ruscio d’ova», leggiamo nella ricetta di un pasticcio di carne; «colora del saffarano», nella ricetta del cosiddetto brodo “martino”; «colora de saffarana», nella ricetta di un pasticcio di lampreda; ancora «colora de zafferano», per il pasticcio di gamberi; e per la torta di erbe, «dalli colore et çaffarano al meio che poy».
Ma già nel “Liber de Coquina”, il manoscritto redatto presso la corte angioina di Napoli alla fine del 1200 che costituisce il più antico ricettario di cucina dell’occidente cristiano, lo zafferano era particolarmente noto e parecchio utilizzato, sia nei salati che nei dolci. Tra quest’ultimi, andiamo a conoscerne uno che annovera tra i suoi ingredienti fondamentali proprio lo zafferano: il “copo o pastillo de lacte”. La letteratura gastronomica medievale è particolarmente ricca di preparazioni come il “pastillo” o il “copo”, tutte molto simili: si tratta di una sorta di crostate la cui “pasta dura”, in origine fatta probabilmente solo con farina ed acqua, era un mero contenitore che non veniva mangiato ma che racchiudeva al suo interno farciture di vario tipo dalla consistenza cremosa e morbida, a differenza delle più pastose “turte” o “torte” dell’epoca che somigliavano più a delle moderne “sfoglie”, e di cui non si lasciava neppure una briciola.
Il “pastillo de lacte”, che io ho reso come una crostata – non mero contenitore “usa e getta”, ma parte integrante della ricetta e quindi assolutamente edibile 😀 – aveva al suo interno una crema “tipo budino” molto gialla per via dell’aggiunta di “fogli d’oro”, che rendevano questo dolce particolarmente prezioso: come racconta Marsilio Ficino nel “De Vita”, datato 1480, chi non aveva una cucina provvista di forno e quindi era costretto a portare i suoi “pastilli” al “fornarium” doveva fare molta attenzione ai furbastri, pronti a scambiare le loro torte meno preziose con quelle “cum auro”!
Qui sotto vi lascio la ricetta originale del “Liber de Coquina”, seguita da traduzione; di seguito trovate la ricetta dettagliata di questa dolcissima crostata dorata.
De Copo siue de pastillo de lacte
Ad copum de lacte accipe pastam duram et fac copum sicut panem unius pastilli et pone in furno parum ut aliquantulum dure fiat. Deinde accipe lac cum ouis batutis simul mixtis et safranum et proice in dicto copo, sed non multum impleas et decoque competenter et comede.
“Copo” o “pastillo” di latte
Per il coppo di latte, prendi della pasta dura e fai un coppo come faresti l’impasto di un pane e mettilo un poco nel forno, affinchè si rassodi alquanto. Quindi, prendi del latte in cui avrai sbattuto delle uova e zafferano e versalo nel coppo, senza riempirlo troppo. Porta a termine la cottura e mangia.
- 280 g di farina 00 + quella per infarinare la tortiera e la spianatoia
- 1 pizzico di sale
- 115 g di fruttosio (o 125 g di zucchero)
- 120 g di burro + quello per imburrare la tortiera
- 1 uovo
- 600 ml di latte
- 3 g di zafferano
- 4 tuorli + 3 uova intere
- 200 g di fruttosio (o 220 g di zucchero)
- Impastate tutti gli ingredienti per la frolla iniziando col mescolare farina, sale e fruttosio (o zucchero), quindi unite il burro a tocchetti e lavoratelo fino ad ottenere un composto sabbioso; incorporate quindi anche l’uovo e lavorate la pasta fino a renderla omogenea. Formate una palla, avvolgetela nella pellicola trasparente e lasciatela riposare in frigorifero per almeno un’ora.
- Nel frattempo, preparate la crema: in una casseruola capiente scaldate il latte assieme allo zafferano, senza portare ad ebollizione; sbattete in una ciotola sia i tuorli che le uova intere con il fruttosio (o zucchero), quindi versate a filo il latte caldo e lasciate intiepidire, mescolando di tanto in tanto affinchè non si rapprenda in superficie.
- Trascorso il tempo di riposo della pasta, stendetela su un piano infarinato dandole uno spessore di circa 4 mm e rivestitevi lo stampo precedentemente imburrato e infarinato. Bucherellate il fondo coi rebbi di una forchetta, coprite la frolla con un foglio di carta da forno e riempitela con dei legumi secchi o con le apposite palline in ceramica; fate cuocere nel forno già caldo a 180° C per 10 minuti.
- Trascorso questo tempo sfornate il guscio, eliminate la carta da forno ed i pesi, quindi versate la pastella allo zafferano e rinfornate per 35 minuti, fino a che l’interno non sarà rassodato; coprite la superficie con un foglio di alluminio non appena il guscio di frolla sarà dorato al punto giusto. Lasciate raffreddare bene la vostra crostata, prima a temperatura ambiente e poi per qualche ora in frigo, prima di affettare e servire.
6 ore di raffreddamento della crostata in frigo
Bibliografia:
L. Granello, I sapori d’Italia dalla A alla Z, 2015, Gribaudo
Liber de coquina, 1285
E. Carli, Liber de coquina: ricette di cultura medievale, 2013, Elisabetta Carli
M. Montanari, Gusti del Medioevo: i prodotti, la cucina, la tavola, 2012, Editori Laterza
E. C. Schianca, La cucina medievale: lessico, storia, preparazioni, 2012, Olschki Editore
http://www.saporitipici.it/
http://cucinamedievale.altervista.org/
Cristina Tiddia dice
Deliziosa!! Io sono una grande amante dello zafferano e qualche volta abbiamo la fortuna di raccogliere qualche fiore nato dai bulbi che pianta mio padre, ma purtroppo la produzione è alquanto irrisoria!! Questa torta comunque dev’essere una vera bontà e la voglio provare
pixelicious dice
Cristina, ma che bello!!! Pensa che io, ammetto, non l’ho mai vista dal vivo una pianta di zafferano… Ti invidio sai? Grazie di cuore del tuo commento… Se la provi fammi sapere! 😉
Camilla dice
Wooow, magnifica la fotografia dello zafferano.
Non conoscevo la ricetta di questa crostata, ma devo ammettere che mi incuriosisce parecchio!
Ciao 🙂
pixelicious dice
E’ stata una rivelazione Camy: una torta davvero particolare! Grazie mille del tuo commento… Baci!
Elena dice
Che bel post Sara…nn sapevo che dal crocus si ricavano i pistilli dello zafferano…e poi che torta perfetta Sara…deve essere per forza anche gustosissima…
Menomale hai detto che le foto nn ti convincono granche’: ci sono quelli spicchi che dicono ” mangiami mangiami ”
da come sembrano veri !
pixelicious dice
Mamy ma ciao! La torta è bella (e buona!), le foto però non mi sono venute molto bene… Nulla di che insomma! Ma grazie mille del tuo commento! Baci baci
sabrina fattorini dice
Grazie Sara di questo bel contributo per la giornata dello zafferano. Faccio spesso la crema allo zafferano, ma non ho mai fatto la crostata! Dovrò rimediare subito provando la tua ricetta!!!
pixelicious dice
Grazie mille a te Sabrina per essere stata l’ambasciatrice di questa giornata così “speziata”! Un abbraccio